Noventa Padovana Flavio Tosi non allenta il pugno duro: «È stata eseguita un'operazione di ripristino delle regole che andava fatta». Trentacinque ribelli veneti espulsi dalla Lega. E un partito lacerato e pesto: sì, pesto, perché i dissidenti veneti non si sono limitati alle assordanti proteste di Pontida. Nella sede regionale del Carroccio, al primo piano di una palazzina in una zona industriale poco fuori Padova, le camicie verdi se le sono suonate. Botte, spintoni, schiaffi, calci; gli insulti e i fischi erano già nel conto. Paolo Pizzolato, ex segretario veneziano (sezione commissariata), è finito al pronto soccorso per un trauma cranico. L'onorevole Matteo Bragantini, che l'avrebbe fatto cadere, è andato a sua volta in ospedale: «Dovevo farmi medicare e refertare, è stato lui a picchiarmi».
Saranno anche pochi i ribelli rispetto alle migliaia di «barbari sognanti» fedeli a Roberto Maroni. Ma la Lega delle epurazioni, fatta di regole inflessibili e mano pesante, è un partito che paga a caro prezzo l'eclissi di Umberto Bossi, l'unico capace di tenere unito un partito che è sempre stato fatto di passione e impulsività. Senza il carisma del Senatùr, il Carroccio conosce dissenso e proteste governate a muso duro: espulsioni a Padova, purghe in Lombardia tra cui l'ex capogruppo a Montecitorio Marco Reguzzoni, sezioni commissariate ovunque (in Veneto quattro sedi provinciali su otto, l'ultima, Treviso, decisa ieri mattina).
La severità segue la stagione degli scandali e il crollo elettorale mascherato dal successo di Maroni in Lombardia. È una crisi paradossale: la Lega si era opposta prima e più di ogni altro partito al governo Monti, ma non riesce a trarne profitto, né le giova l'asse senza precedenti dei tre governatori padani. Lo stesso presidente veneto Luca Zaia, assieme a Manuela Dal Lago, una dei triumviri che gestì il passaggio da Bossi a Maroni, ripete che i provvedimenti disciplinari non risolvono i problemi. Ma il «doge» rimane inascoltato. «È una pagina indecorosa», ha detto riferendosi sia alle espulsioni sia alle violenze.
Ieri a protestare a Noventa Padovana erano in 150 circa, imbavagliati con cerottoni bianchi o fazzoletti verde padano annodati dietro la testa. Doveva essere una manifestazione silenziosa, e infatti Flavio Tosi, segretario del Carroccio veneto, è stato accolto soltanto da mugugni a denti stretti. I contestatori erano convinti che il «consiglio nathional» si sarebbe fermato prima delle espulsioni. Quando la notizia è stata diffusa da Zaia, presente alla riunione senza diritto di voto, la protesta è diventata rissa. Un gruppo di militanti è salito con i fischietti tra spintoni, minacce e offese a Tosi e ai suoi fedelissimi Muraro, Stival e Finozzi (fascista, traditore, verme, venduto). Alcuni hanno tentato di sbarrare l'entrata ai manifestanti ed è scoppiata la bagarre.
Il sindaco di Verona è uscito protetto dai carabinieri, una decina di militari guidati dal comandante provinciale, colonnello Renato Chicoli: anche la scorta è stata presa a calci. Nella bagarre Bragantini, lui pure legato a Tosi, avrebbe colpito Pizzolato il quale è caduto battendo la testa ed è stato portato via in ambulanza dalla Croce rossa. Dopo essersi fatto medicare, Bragantini ha presentato una controdenuncia.
I dissidenti non demordono. «Ho sentito Bossi per interposta persona - ha detto una dei capi, l'ex onorevole Paola Goisis, anche lei epurata - ci stiamo muovendo per rifondare la Lega. Non siamo spaventati, aspettiamo indicazioni da Bossi sapendo che lui si sta muovendo e sa cosa fare; l'unico problema è che a Roma è isolato». Ma il Senatùr, dopo le voci di venerdì, ha nuovamente smentito di preparare la scissione.
Maroni è con Tosi. «Abbiamo fatto pulizia e continueremo a farla, se qualcuno ha sbagliato pagherà le conseguenze.
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