Con la Lega l'accordo è a un passo Oggi l'incontro tra il Cav e Maroni

Q uestione di ore. Tecnicamente, infatti, l'accordo tra Pdl e Lega ancora non c'è. Ma le riunioni di questi giorni e anche i ripetuti contatti di ieri raccontano una matassa che si va velocemente dipanando. D'altra parte, gli interessi «convergenti» delle parti sono davvero troppo forti per non mettere in campo un pizzico di realpolitik. Perché un'alleanza significa per il Pdl la concreta possibilità di giocare la partita elettorale nonostante lo svantaggio di partenza e per il Carroccio l'occasione per prendersi per la prima volta il Pirellone e ripartire da quella che Maroni chiama «l'Euroregione del Nord» (Lombardia, Veneto e Piemonte).
Fosse per Berlusconi si sarebbe chiuso da tempo, il problema è che il segretario del Carroccio se la deve vedere con una base che, come sempre nei momenti di difficoltà, si rintana in trincea. Un sondaggio Swg commissionato da via Bellerio, infatti, dice che un elettore del Carroccio su tre è per la corsa in solitaria. «Non certo una novità rispetto al passato, basti pensare al 1996...», ricorda un ex ministro che la Lega la conosce bene. Quel che è cambiato rispetto a ieri è che non c'è più Bossi che con la sua leadership avrebbe sbloccato l'impasse. Maroni, invece, è costretto a trattare, limare, temporeggiare per far digerire la cosa alla base e arginare le perplessità dei big veneti Zaia e Tosi. Questo nonostante chiudere con il Pdl sia l'unica soluzione sensata anche per la Lega. Non solo perché con il sostegno del Cavaliere la possibilità che Maroni diventi governatore della Lombardia è concretissima, ma pure perché una corsa in solitaria alle politiche imporrebbe al Carroccio di superare la soglia dell'8% in ogni Regione per riuscire a entrare in Senato. Un risultato che a guardare i sondaggi è ben lungi dall'essere a portata di mano. Sola, dunque, la Lega si troverebbe a non giocare la partita in Lombardia ed essere fuori da Palazzo Madama. Quasi un suicidio.
Il punto, dunque, è limare i termini dell'accordo. Oggi Berlusconi lascerà Roma dopo un collegamento telefonico con il Tg5 ad ora di pranzo. E arrivato a Milano ha in programma il decisivo faccia a faccia con Maroni. Il punto non è tanto quello programmatico del lasciare il 75% dei proventi delle tasse sul territorio (su cui si è già trovato un accordo nelle riunioni dei giorni scorsi con i leghisti Calderoli, Giorgetti e Gibelli e i pidiellini Romani e Casero), quanto il far passare il messaggio che il Carroccio ha portato a casa un passo «a lato» del Cavaliere sul fronte premiership.
Di questo parleranno oggi Berlusconi e Maroni. Forse anche di Formigoni, che ieri solo dopo molte ore ha smentito l'intenzione di voler rompere con il Pdl, sostenere la corsa dell'ormai «montiano» Albertini al Pirellone e presentarsi con una propria lista al Senato. Una mossa che al Cavaliere non è piaciuta perché – dicono a viale Monza – è «chiaramente un modo per appesantire la trattativa in corso». Nel senso che Formigoni vorrebbe il posto alla Camera per lui e altre tre persone (oltre a cinque uscenti di Cl), mentre pare che il conto complessivo debba essere più che dimezzato. Cielle, infatti, vale in Lombardia circa 100mila voti, ma – ragionano al partito – «dopo gli scandali siamo a circa 80mila».

Di questi, non tanto Formigoni quanto Mauro – capogruppo Pdl all'Europarlamento, ormai passato con Monti – ne controlla ben più della metà. Tanto vale Formigoni. Che se davvero strappasse, diceva ieri a Berlusconi un big milanese, non entrerebbe nemmeno in Parlamento visto che la soglia dell'8% al Senato è un miraggio.

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