RomaIl Pdl spariglia sulla legge elettorale mettendo nero su bianco una bozza da portare in Parlamento. E il Pd non la prende bene. Anzi reagisce scompostamente, alzando i toni e facendo scattare il legittimo sospetto che il nervosismo nasconda il desiderio di blindare il tanto deprecato Porcellum e andare al voto con il sistema attuale.
Lo spunto per uno scontro lungo una giornata è offerto da Angelino Alfano. In una intervista all'agenzia AdnKronos, il segretario del Pdl annuncia: «Occorre che ormai si vada su testi scritti e depositati in commissione perché la fase di avvicinamento delle posizioni è conclusa. Ecco perché i nostri al Senato presenteranno la prossima settimana questo progetto». Un progetto sul quale, spiega Alfano, si potrà andare avanti anche a maggioranza. «Non voglio lo scontro» prosegue l'ex Guardasigilli «cercheremo fino all'ultimo di evitare lo scontro in aula». Sembra normale dialettica tra schieramenti, preparazione del terreno in vista di una mediazione. Pier Luigi Bersani, invece, reagisce alzando i toni e lanciando una sorta di ultimatum. «Con un colpo di mano da parte del Pdl, la rottura è inevitabile. Il Pdl sulla legge elettorale oscilla tra pratiche dilatorie ormai estenuanti e la suggestione di un colpo di mano in Parlamento. È evidente che se si ripetesse per la legge elettorale quel che si è visto in Senato per la riforma costituzionale, sarebbe un atto di rottura irrimediabile».
Le controrepliche che arrivano dal fronte di Via dell'Umiltà non sono particolarmente concilianti. «Nessun colpo di mano, deciderà il Parlamento che è sovrano sempre non solo quando conviene alla sinistra» dice Altero Matteoli. Di «preoccupazione irrazionale» parla Gaetano Quagliariello che si sofferma a parlare di legge elettorale con Pier Ferdinando Casini dopo i funerali di Loris D'Ambrosio. «Finalmente Bersani esce allo scoperto e ammette di non voler cambiare il tanto criticato Porcellum» punge Mariastella Gelmini che ricorda come la proposta del Pdl con un 70% di seggi assegnati con le preferenze rappresenti «la traduzione coerente della nostra intenzione di ridare voce ai cittadini, una intenzione che il Pd ha solo a parole». Maurizio Gasparri fa notare che in realtà «il Pd erede della tradizione Pci delle preferenze imposte agli attivisti di partito, e dei candidati catapultati dalla nomenklatura nei collegi sicuri, vuole le liste bloccate e non le preferenze».
In questo crepitare di dichiarazioni, nella nebbia di ragionamenti inevitabilmente piegati a convenienze e logiche di parte, iniziano a emergere due certezze. La prima è la possibilità che la proposta del Pdl possa passare con i voti della Lega e di Fli, con la ricomposizione della vecchia maggioranza. La seconda che l'approvazione della legge elettorale possa costituire il fischio finale della legislatura. Nella riunione a Palazzo Grazioli di venerdì, infatti, Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Angelino Alfano e i vertici Pdl hanno preso in analisi l'ipotesi che il 10 settembre il Parlamento possa chiudere i battenti in vista di un possibile voto il 18 novembre. Uno scenario rispetto al quale l'ex premier resta freddo ma sul quale, ovviamente, non vuole farsi trovare impreparato. Berlusconi e Alfano stanno anche riflettendo su alcune proposte sottoposte nei giorni scorsi dal senatore Andrea Augello direttamente al presidente del partito, a nome di 28 parlamentari del Pdl.
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