Un anno di governo Monti e un solo numero in crescita: quello dei disoccupati. Seicentomila in più solo nel 2012, e altri 250mila sono previsti per il prossimo anno, secondo la Cgia di Mestre: come dire, 800mila posti di lavoro cancellati in 24 mesi. Un'eredità imbarazzante per il premier, al punto da spingere persino la Cei - nonostante la benedizione del cardinale Angelo Bagnasco alla lista Monti - a mettere nel mirino proprio la madre di tutte le riforme del governo «tecnico», quella del lavoro targata Elsa Fornero: nata per incentivare le assunzioni, ha fallito completamente il suo intento.
«La riforma Fornero ha prodotto più disoccupazione - scrive senza tanti giri di parole il Sir, l'agenzia stampa della Conferenza episcopale -; com'era prevedibile, se si dà un giro di vite ai contratti a tempo determinato, questi non verranno più utilizzati; se si stringono le maglie su quelli a chiamata obbligando alla regolarizzazione delle posizioni, questo accadrà una volta su tre. Gli altri due a spasso. Il primo gennaio - è la conclusione - si rivelerà una data amarissima per migliaia di italiani, precari senza più futuro nel posto di lavoro occupato finora».
Ma già oggi la situazione è drammatica: l'«annus horribilis» trascorso sotto l'egida di Mario Monti si conclude con 609.500 disoccupati in più, che portano il numero complessivo dei senza lavoro a 2 milioni 717mila persone. È la stima fatta dagli artigiani di Mestre che, se sarà confermata dai dati ufficiali, porterebbe il tasso di disoccupazione al 10,6%. Quanto al 2013, le proiezioni sono tutt'altro che rassicuranti: il prossimo anno la Cgia stima un aggravamento della situazione che inghiottirebbe altri 246.600 posti di lavoro, portando la disoccupazione all'11,5%, a un passo da quota 3 milioni, un record negativo senza precedenti.
Nel 2013 - osserva quindi l'ufficio studi mestrino - ancora una volta tutti gli indicatori saranno preceduti dal segno meno: il pil sarà pari al -0,5% circa, i consumi privati allo -0,9%, quelli pubblici -0,3%, mentre gli investimenti chiuderanno con un -2,1%. «Con queste previsioni - conclude il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi - non c'è da meravigliarsi se le aziende non ce la fanno più a trattenere le proprie maestranze. Anche le piccole imprese, che in passato erano riuscite ad assorbire i lavoratori espulsi dalle ristrutturazioni che avevano interessato le grandi imprese, ora sono allo stremo e dopo cinque anni di crisi la loro tenuta è ormai ridotta al lumicino. Servono delle misure anticicliche in grado di far ripartire l'economia».
In particolare, tagli agli investimenti, gelata dei consumi e ritardi nei pagamenti pubblici hanno messo in ginocchio l'Italia delle costruzioni, dove dal 2009 ad oggi hanno perso il lavoro 120.000 persone l'anno, 328 al giorno. In tutto si tratta di 500.000 posti andati in fumo tra edilizia, materiali da costruzione, cemento, lapidei, industria del legno e arredo: 60mila le imprese fallite, un terzo del settore costruzioni «spazzato via come da uno tsunami», avverte il segretario generale della Fillea Cgil, Walter Schiavella.
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