L'estremista Fassina conferma l'inciucio col Centro

Intervista al Financial Times del responsabile economico dei democratici: "Siamo dalla stessa parte. Pronti a collaborare con Monti, serve un patto per le riforme"

L'estremista Fassina conferma l'inciucio col Centro

Roma - Che sia Stefano Fassina a dire «viva Monti» e a proporre il «congelamento dei salari» fa notizia, anche se lo dice in inglese. Forse per questo Bersani ha spedito proprio lui a Londra, a rassicurare gli «gnomi» della City sulla perfetta continuità tra governo tecnico e futuro «centre-left».

Intervistato dal Financial Times, il «giovane turco» alfiere della svolta labour del Pd, e ora in predicato per un posto di governo secondo il quotidiano, si trasforma nel latore di un «olive branch» (ramoscello d'ulivo, così titola Ft) al Professore, che lo ha bollato anche l'altro giorno come «estremista». Ma nell'intervista di estremista non c'è proprio nulla, anzi: «Noi del Pd - dice Fassina - vogliamo collaborare con mister Monti e la sua alleanza centrista, qualunque sia il risultato al Senato». Già, perché nel colloquio col giornale britannico Fassina ammette che la gara per la Camera alta è «uphill», in salita, e che in almeno tre regioni (Lombardia, Sicilia e Veneto) la partita è ancora imprevedibile. Ma che il Pd «eviterà di attaccare Monti» durante la campagna elettorale, anche se è un concorrente, perché l'obiettivo è quello di ritrovarsi dalla stessa parte dopo il voto: «Siamo insieme dalla parte degli europeisti contro i populisti, condividiamo la stessa impostazione sui principali temi, dalle riforme costituzionali alla necessità di riforme strutturali», spiega Fassina. E lancia alcune aperture: ai tedeschi dice che il Pd vuol discutere del super-commissario al fisco Ue proposto da Schauble, e che si adopererà per convincerne il «camarade» Hollande; che il fiscal compact non verrà toccato; che «l'agenda delle riforme» avviata da Monti deve andare avanti (tre mesi fa sul Foglio Fassina aveva lanciato la parola d'ordine «rottamiamo l'agenda Monti»); che «non ci sono ragioni per varare una nuova riforma del lavoro» (nonostante il referendum di Sel per abrograre quella Fornero) e che si cercherà un accordo tra le parti sociali per «congelare i salari in cambio di investimenti».

Il messaggio è chiaro, ed è lo stesso che - sempre ieri - Bersani ha ribadito al Washington Post, proponendo a Monti «un patto per le riforme e la ricostruzione del Paese», e dicendosi «aperto alla collaborazione» con l'ex premier. E fa niente se Nichi Vendola, il suo principale alleato, dichiara subito che non se ne parla, perché il programma Monti è «incompatibile» col suo. L'obiettivo della campagna filo-Monti (e quelli di Sel sono stati preventivamente rassicurati dal Pd) è tutto «tattico», come spiega un bersaniano: «Le aperture al Professore mirano soprattutto a rassicurare i moderati, a convincerli che possono votare noi anziché il Centro, perché abbiamo la stessa agenda». Insomma, si abbraccia il Professore per tentare di depotenziarne l'appeal sugli elettori di centro e sfilargli il suo portafoglio di voti, incamerandoli nel centrosinistra. «Noi puntiamo all'autosufficienza in Parlamento. E per farcela dobbiamo dire agli italiani di non sprecare un solo voto» tra Centro e Igroia, come spiega Dario Franceschini. Poi, sono convinti nel Pd come in Sel, «se anche saremo sotto di una manciata di voti in Senato, i centristi faranno la fila per offrirsi, pur di non tornare alle urne».

I montiani, ovviamente, hanno subito annusato l'imbroglio.

E invece di ringraziare Fassina per le gentilezze lo attaccano: «Sappiano gli operai che vuole congelare i salari, anche se in Italia non lo dice», denuncia il responsabile lavoro di Italia Futura, Marco Simoni. «Ma la crescita non si stimola promettendo stipendi più bassi».

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