RomaA sera, Enrico Letta fa uscire la notizia dell'«incontro chiarificatore» con Annamaria Cancellieri, nel quale il premier ha «confermato la fiducia» al suo ministro, sottolineando che «non c'è la necessità di cambiamenti di posizione».
Il messaggio è diretto al suo partito, e in primis a Matteo Renzi: il governo non si tocca, nessuno pensi di approfittare del caso per farlo saltare. Almeno fino a quando non si sa cosa succede nel Pdl, come spiega un dirigente cuperliano del Pd: «Cambiare ora il ministro della giustizia aprirebbe un terremoto nella maggioranza». Ma se poi le cose dovessero aggravarsi, a Palazzo Chigi potrebbero avere una carta di riserva: «Se si spacca il Pdl e nascono finalmente due gruppi, il ministro della Giustizia diventa cruciale quanto quello delle Pari opportunità. Letta potrà tranquillamente fare un rimpasto: a convincere Alfano, con Berlusconi fuori dalla maggioranza, ci mette due minuti».
Dopo l'affondo di Repubblica sulle telefonate del ministro ai Ligresti, il Pd è in fibrillazione e praticamente tutte le sue componenti, a cominciare dai quattro candidati alla segreteria, si sono pronunciate, più o meno chiaramente, per le dimissioni.
A rafforzare l'altolà di Letta arriva anche Giorgio Napolitano, che fa sapere di aver ricevuto il ministro e di averlo incoraggiato a «proseguire» nel suo piano sull'emergenza carceri.
Un uno-due per blindare l'esecutivo e mettere la mordacchia ai sempre più inquieti parlamentari Pd. Per tutto il giorno, ieri, sia il premier che il capo dello Stato hanno lavorato per reggere una baracca sempre più traballante. Mentre dal Pd si moltiplicavano le voci pro-dimissioni. Renzi ha ribadito la linea ai suoi: ovviamente, la mozione di sfiducia dei grillini non può essere votata, ma «non ho cambiato idea rispetto a quanto detto una settimana fa, a Servizio Pubblico: non chiedo le dimissioni di nessuno, ma al suo posto me ne sarei andato». Sulla linea «Cancellieri se ne vada» anche Pippo Civati, che sfida Renzi a passare dalle parole ai fatti. Ma pure Gianni Cuperlo ha mandato il suo segnale di insofferenza: «Alla luce di quello che sta accadendo, è utile che il ministro valuti con il presidente del consiglio se ci sono ancora le condizioni per andare avanti con serenità in un ruolo tanto delicato». Un umore che, nell'assemblea dei parlamentari Pd di martedì, potrebbe sfociare in un voto anti-Cancellieri. Ad irritare ancor di più Palazzo Chigi è stata l'intervista ad Huffington Post del responsabile Giustizia del Pd, Danilo Leva: «Noi siamo al governo - precisa - e quindi non possiamo arrivare a votare una mozione di sfiducia delle opposizioni, basata su un'interferenza del ministro per la scarcerazione della Ligresti che non vediamo». Ciò detto, «resta tutta l'inopportunità di quelle telefonate». E, soprattutto, resta il fatto che «le dimissioni non si chiedono, si danno: appartiene alla sensibilità istituzionale di ciascuno». Insomma, prima di arrivare al voto di mercoledì sulla mozione di sfiducia, il governo rifletta se non sia il caso di togliere la patata bollente di mezzo. Il che, detto da Leva, equivale ad un invito di Epifani al premier. Invito che non è piaciuto («bizzarro», lo definiscono i lettiani), tanto che ci son state pressioni sul Nazareno per far correggere il tiro, e smorzare la dichiarazione sulle agenzie di stampa. Uscite con il titolo: «Le dimissioni non si chiedono», senza la conclusione: si danno. A dare manforte a Letta (contro Renzi) ci pensa D'Alema: «Non è stato commesso alcun illecito, e la valutazione di opportunità va affidata a Letta».
«Dal primo giorno ho detto che se sono di peso avrei fatto un passo indietro», dice il ministro della Giustizia al Gr1. Ma «la questione è stata montata: non c'è nessuna contraddizione né menzogna, tutto è limpido e sereno». Niente dimissioni, insomma. Almeno per ora.
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