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Letta ci prova, strada già in salita

Il premier incaricato media tra le condizioni del centrodestra e i veti dei democratici. Oggi le consultazioni

Letta ci prova, strada già in salita

È una strada in salita, quella che ha davanti Enrico Letta. E lui è il primo a saperlo, tanto che ha subito avvertito, appena uscito dallo studio di Napolitano: «Questo governo non deve nascere a tutti i costi, ma solo se ce ne saranno le condizioni».

Una frase ben calibrata, per segnalare ai nuovi alleati, quelli del Pdl, che alzare troppo le pretese potrebbe far saltare tutto; e al proprio partito che non verranno accettate condizioni-capestro impossibili da far digerire al Pd.

Già, per il Pd la partita è delicatissima: rendere accettabile agli occhi dell'elettorato un accordo di governo con gli acerrimi nemici berlusconiani, dopo settimane di sconquassi interni e di rivolte della base, è un esercizio di grande equilibrismo. E lui, Enrico Letta, è - lo dicono tutti nel Pd - l'unico in grado di riuscirci. Ieri ha sentito al telefono Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ha incontrato i big democratici. Ma anche i suoi sanno che è complicato: «Abbiamo un 50 per cento di possibilità di far partire un governo che duri almeno due anni». Il canovaccio programmatico indicato ieri al

Quirinale da Letta è infatti ambizioso, degno di un governo di legislatura e non certo di un governicchio balneare: non solo occorre fronteggiare l'emergenza economica, il dramma della povertà, quello dei «giovani costretti a fuggire dall'Italia». Ma anche fare le riforme: modificare il bicameralismo, diminuire il numero dei parlamentari, cambiare la legge elettorale. Soprattutto, «far sì che da questa vicenda la politica italiana possa uscire di nuovo credibile, e moralizzare la vita pubblica per dare nuova linfa al Paese».

La giornata decisiva, però, sarà quella di oggi, quando le delegazioni dei partiti incontreranno il premier incaricato e metteranno le proprie carte in tavola. I primi segnali dal Pdl non vengono giudicati molto rassicuranti: il capogruppo Brunetta ha detto chiaro ieri che, visto che finora il Pd «si è preso tutto», ora «tocca a noi, ai nostri ministri e al nostro programma». Parole che mettono i brividi ai dirigenti Pd: «Per ora le reazioni interne all'incarico a Letta sono buone, tranne qualche fronda prevedibile e i giovani turchi che si mettono sull'Aventino - dice uno di loro - ma se Berlusconi ci impone l'abolizione immediata dell'Imu, o ministri come la Gelmini o Brunetta salta tutto per aria: ricominciano i falò di tessere, le occupazioni delle sedi, i proclami dai territori, e i nostri parlamentari non li teniamo più». Senza contare il fattore Renzi: lui e Letta sono in rapporti ottimi, e il premier incaricato (che ha pranzato col sindaco lunedì, alla vigilia della Direzione) ieri ha voluto dargli un pubblico riconoscimento: «Lo ringrazio delle sue parole di sostegno, il rapporto tra noi sarà utile ad individuare i modi migliori per parlare al Paese». Ma di certo, dicono i supporter del premier incaricato, «Matteo non ha grande interesse ad un governo che duri fino al 2014».

Le trattative dunque non saranno brevissime: «Bisogna contemperare la rapidità con il nuovo schema», dice Letta. E per nuovo schema intende anche l'impostazione della compagine governativa, che deve essere fatta sì di «politici solidi ed esperti», spiegano i suoi, ma «nuovi e non riconducibili alle gestioni passate». Nomi come Graziano Del Rio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell'Anci, circolano molto. Ma tenere fuori i big dal governo non è impresa facilissima, e la questione è stata sul tavolo del confronto interno in queste ore con i principali interlocutori del partito: Bersani (che lo ha sponsorizzato per la premiership, ben sapendo che il vicesegretario si è da tempo conquistato la fiducia e stima di Napolitano), Massimo D'Alema (in predicato per gli Esteri), Dario Franceschini (altro potenziale ministro), i capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda. E poi c'è il capitolo partito: con il vicesegretario a Palazzo Chigi, diventa urgente trovare un assetto, da varare nell'Assemblea del 4 maggio, che lo governi fino al congresso di ottobre.

Si pensa ad un triumvirato (Guglielmo Epifani per i bersaniani, Andrea Orlando per i Turchi, Dario Franceschini per gli ex Ppi). Ma si attendono con preoccupazione le mosse di Renzi, che potrebbe sparigliare ed accelerare molto la sua marcia di conquista sul Pd.

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