Sull'ultimo guaio scoppiato dentro il suo governo, con il caso Cancellieri, Enrico Letta non apre bocca, per ora. In attesa di capire se si riuscirà a disinnescarlo in maniera indolore per l'esecutivo.
Certo non ci voleva, proprio nel giorno in cui il premier ha deciso di concedere una maxi-intervista alla Stampa (e ad un pool di quotidiani europei), nella quale vola alto sopra le miserie italiane per occuparsi delle grandi questioni continentali, ma trova il modo di spiegare che lui, a Palazzo Chigi, è convinto di rimanerci ancora a lungo. Senza alcun timore della fatidica scadenza del voto sulla decadenza di Berlusconi, perché «il governo andrà avanti in ogni caso», continua a ripetere Letta. «Io lavoro - spiega nell'intervista a chi gli chiede se la grande coalizione possa diventare un modello anche per il futuro - perché si cambino le regole e si torni nel 2015... quando sarà, nel 2015 si torni ad un confronto elettorale nel quale i cittadini possano scegliere tra due opzioni». Eccola lì, nero su bianco, la data che rappresenta l'obiettivo del governo Letta, il 2015. Con un'incertezza per eccesso, non per difetto, che trapela da quel «quando sarà». Perché in realtà l'obiettivo è arrivare al 2015 per scavallarlo, forte dello scudo del Quirinale e delle richieste di «stabilità» delle cancellerie europee: «Dopo la fiducia del 2 ottobre abbiamo maggiori forze e guardo al futuro con fiducia», assicura, elencando le cose che è pronto a fare, per battere il «populismo» che attribuisce anche a Berlusconi: abolizione del finanziamento pubblico, legge elettorale, riforme istituzionali, lotta alla disoccupazione e chi più ne ha più ne metta.
Gli interlocutori del premier, in questi ultimi giorni, riferiscono tutti - con un certo stupore - la stessa impressione, tratta dalle parole di Letta: «Non so se ne sia convinto, certo lo sembra, ma in ogni caso si muove come se avesse già in tasca la scissione del Pdl e la sicurezza di potere andare ben oltre il semestre di presidenza Ue», confida un dirigente di Scelta civica. Che resta un po' perplesso: «Mi auguro che non si stia fidando troppo di Angelino Alfano, rischia di rimanere scottato se è così». E anche nel Pd i suoi colleghi di partito raccontano di un premier molto determinato a restare in sella, perché - è il suo ragionamento - «se arriviamo ben preparati al semestre europeo, e riusciamo ad avere un ruolo di guida nell'Unione, poi voglio vedere chi butterà giù il governo che ha ridato leadership all'Italia». E in questo scenario, che vede il governo Letta-Alfano praticamente come un governo di legislatura, c'è un sottinteso che il premier non dice tanto in giro, ma che i suoi fedelissimi non nascondono per nulla: «Se il governo non cade di qui alla primavera, Enrico ha vinto e Renzi ha perso. Lo lasceremo lì a fare il segretario del Pd e a logorarsi, ma Palazzo Chigi se lo scorda», dice uno di loro. I toni fanno capire lo stato dei rapporti tra i due: «Pessimi, quelli ci odiano e i canali di comunicazione ormai sono quasi inesistenti», confida un renziano.
Ma perché il sogno lettiano si compia vari tasselli devono andare al loro posto. A cominciare dalla scissione del Pdl, che secondo Letta, al momento della decadenza di Berlusconi deve per forza compiersi: «A quel punto, non possono più esserci subordinate», ha ordinato ai ministri alfaniani. Intanto, però c'è da superare indenni il caso Cancellieri e da impedire a tutti i costi che si arrivi alle dimissioni: la necessità di sostituire il Guardasigilli, in una fase di simile precarietà politica, potrebbe causare tensioni letali. Non a caso Alfano ha subito difeso a spada tratta il Guardasigilli.
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