Letta si piega alla fiducia e riceve tre diktat da Renzi

Il premier vuole arrivare al voto in Aula dopo le primarie per placare il futuro segretario Che gli detta le condizioni: tagli ai costi della politica, più lavoro, dare un'anima alla Ue

Letta si piega alla fiducia e riceve tre diktat da Renzi

«Siamo alla vigilia di una svolta importante», annuncia Enrico Letta. Che spiega: «Chiederemo una nuova fiducia e certificheremo i numeri della maggioranza», ma solo «dopo le primarie dell'8 dicembre, mi pare naturale attenderle». Ieri sera però Matteo Renzi ha già iniziato a dettare le sue condizioni: «Letta pensi all'Italia: per sette mesi il governo è stato un supermarket, ognuno piantava le sue bandierine». Ora invece deve «uscire dalla dimensione della paura degli altri», senza però scordare che «Berlusconi sa fare molto bene l'opposizione, e anche le campagne elettorali». Tre le cose da fare: «tagliare i costi e i posti della politica, e quindi via il Senato e le Provincie»; riformare il lavoro; ridare «anima e speranza all'Europa».
Dopo la fiducia il governo «sarà più forte», dice Letta. E promette: «Dopo un 2013 in difesa, ora potremo giocare d'attacco». Niente rimpasti, precisa, ma reclama che i sottosegretari di Fi diano le dimissioni, «e non col contagocce». Miccichè le ha già date, «non resto con traditori e giustizialisti», ma Girlanda (che passa subito con Alfano) e Ferri («sono un tecnico») restano.
Metabolizzata la sorpresa fattagli dal Quirinale, che glielo ha annunciato per telefono a Vilnius, il premier cerca di volgere a suo favore l'imprevista verifica parlamentare che gli toccherà affrontare. E l'idea principale che circola nell'inner circle di Letta è di usare quel voto di fiducia per incastrare Renzi. «La verifica va fissata immediatamente dopo l'8 dicembre», si spiega, «così lui non avrà il tempi di inventarsi qualche ambaradan per metterci in difficoltà e alzare l'asticella, e il primo atto della segreteria sarà quello di votare la fiducia a Letta: si ritroverà con le mani legate». Peccato che, sottolineano i renziani, «come Napolitano sa il nuovo segretario non si può insediare prima del 15 dicembre: la fiducia dovranno trattarla con Epifani...».
Il capo dello Stato non ha cambiato idea: vuole che il «suo» governo resti in piedi (anche perché l'unica alternativa sarebbe il voto anticipato, vade retro), e vuole che ci resti il più a lungo possibile. Minimo fino al 2015. Ma si rende conto che per farlo è necessario adattarsi ad uno scenario diverso, perché ora in campo ci sarà un nuovo attore protagonista. «Napolitano è innanzitutto un realista, talmente realista da approvare i carrarmati a Budapest», spiega sul filo dell'ironia un colonnello renziano. «E quindi si prepara a dialogare direttamente col nuovo protagonista, Renzi, lasciando Letta a governare». Insomma, «l'asse della politica italiana l'8 dicembre si sposta: non sarà più Colle-Palazzo Chigi, ma Colle-Nazareno».
Ma la situazione è tutta in movimento, e assai confusa per il governo, che comunque resta appeso a una manciata di voti in Senato. Tanto che il capogruppo Pd Zanda ha imposto ai suoi senatori di rinunciare a qualsiasi impegno anche parlamentare non concordato con lui: «Ogni assenza potrebbe rivelarsi decisiva», è il suo grido d'allarme. Si potrebbe ballare già la settimana prossima, con sette senatori civatiani che minacciano di non votare il decreto sulle missioni. Mentre i renziani calzano l'elmetto in previsione del dibattito sull'Imu, su cui giocheranno d'attacco contro il governo, spalleggiati dai sindaci.

E intanto sulle riforme il governo sta organizzando il suicidio: se Forza italia non voterà la legge costituzionale che istituisce il Comitato per le riforme, il Pd ha già avuto (discretamente) l'indicazione di votare contro per affossarlo, visto che non ci sarebbero i due terzi dei parlamentari e dunque la legge sarebbe passibile di referendum, da sventare. «Ma così si può andare avanti forse fino alla primavera, certo non fino al 2015», sussurrano nel Pd.

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