L'eurodeputata che aspetta di essere arrestata

L'1 luglio scade il suo mandato e Lia Sartori finirà ai domiciliari

L'eurodeputata che aspetta di essere arrestata

Un countdown, anzi due. C'è quello che si svolge sotto i riflettori del Parlamento ed ha per protagonista Giancarlo Galan. Ma poi ce n'è un altro, silenzioso, e dall'esito già segnato: il 1 luglio, quando s'insedierà il nuovo europarlamento, verrà ammanettata Lia Sartori, eurodeputato uscente di Forza Italia. I magistrati veneziani hanno disposto il suo arresto, si tratta solo di aspettare che il tempo faccia, rapidamente, il suo corso. Galan ha ancora una carta da giocare: convincere i deputati del fumus, del pregiudizio, nei suoi confronti o comunque della non necessità di un provvedimento cautelare. Sartori invece non è stata rieletta e sta scivolando verso la detenzione programmata. Un caso singolare, senza grande impatto sull'opinione pubblica, per uno dei tanti capitoli dell'inchiesta sul Mose.
Lia Sartori è accusata di finanziamento illecito, tutto sommato uno dei reati meno gravi scoperchiati dal pool veneziano, ma i giudici sono stati inflessibili: arresti, sia pure domiciliari, da quando cadrà l'immunità. Complessivamente l'eurodeputato deve rispondere di 200mila euro, in particolare 25mila ricevuti con un giro di false fatture dal Coveco, Consorzio veneto cooperativo, per le Europee 2009. In procura fanno notare che Sartori, almeno per ora, non ha nemmeno tentato la carta del tribunale del Riesame. Tattiche processuali.
Quel che è certo è il braccio di ferro ingaggiato dai pm veneziano con la coppia Galan-Sartori. No, un no reiterato, all'interrogatorio dell'ex ministro ed ex governatore che in tutti i modi ha provato a mettersi in contatto con i pm veneziani ma è stato rimbalzato perché in questa fase la sua audizione non avrebbe alcun valor investigativo e anzi potrebbe essere strumentalizzata in una sorta di rimpallo istituzionale, fra il parlamento e la procura, fra Roma e Venezia; ordine di custodia a scoppio ritardato per l'eurodeputata.
Il tutto mentre il filone delle tangenti rosse sembra essersi arenato sulla porta del Pd veneto. Giorgio Orsoni, ormai ex sindaco di Venezia, ha parlato nei suoi verbali della nomenklatura regionale del partito. Pareva che le sue parole potessero innescare una nuova accelerazione della maxi indagine che in qualche modo sembra riprendere quella condotta negli anni Novanta dal pm Carlo Nordio.

Invece, alle chiacchiere e ai boatos non è seguito nulla. Almeno per ora. I pm sono occupati a puntellare la costruzione accusatoria, alla verifica segmento per segmento del Riesame, e aspettano al varco Sartori e Galan. Al Pd ci penseranno dopo.

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