L'ex capo della Protezione civile santificato per le critiche a «Repubblica»

L'eroe che non ti aspetti. Non perché Guido Bertolaso (nel tondo), l'ex capo della Protezione civile trascinato nel fango dalle inchieste giudiziarie, non sia un eroe, per l'impegno profuso e per quello che la Protezione civile italiana era diventata dal punto di vista operativo sotto la sua guida. Ma perché a incoronare Bertolaso eroe è un giornale che non ti aspetti, Il Fatto Quotidiano, che alle malefatte della cosiddetta cricca del G8 e all'ex capo della Protezione civile ha dedicato lenzuolate. Il motivo del cambio di rotta (lo ricorda persino Padellaro, nel fondo, che Bertolaso «non è certo un amico del Fatto») e della beatificazione? Una lunga intervista a Bertolaso, dopo averlo scovato (ma da scovare non c'era molto, in tutte le interviste ripeteva che appena mollato il campo in Italia sarebbe tornato in Africa a curare i suoi malati) a Yrol, sud del Sudan. Una lunga intervista in cui l'ex sottosegretario, oltre a togliersi qualche sassolino dalla scarpa, dice tre cose: che stima Silvio Berlusconi pur non essendo un suo uomo e non avendolo mai votato; che il suo vero referente, altro che il Cavaliere, era il capo dello Stato Giorgio Napolitano - leggere le intercettazioni allegate agli atti dell'inchiesta di Firenze poi passata a Perugia (senza che il Colle, come è avvenuto con Palermo e le telefonate tra Napolitano e Mancino sollevasse conflitti di attribuzione) per credere - e che Repubblica (che con Scalfari ha attaccato duramente Il Fatto per le intercettazioni) ha le intercettazioni col capo dello Stato relative al G8 ma non le pubblica.
Et voila, la santificazione dell'ex Belzebù della cricca è servita. Mediaticamente è passato di più il «Berlusconi ripudiato», tanto che diversi esponenti del Pdl sono intervenuti a chiosare il «tradimento» di Guido-Giuda, che non il resto. Ma in realtà, nell'intervista, più che attaccare Berlusconi, Bertolaso se la prende con i media, e con Repubblica in primis, per aver pubblicato solo atti che lo dipingevano come mostro e non quelli che invece lo scagionavano. Su Berlusconi, che lo voleva ministro, non c'è un vero e proprio voltafaccia: «L'accusa di essere un berlusconiano di ferro – spiega Bertolaso – mi brucia. Non lo sono mai stato. Stimo Berlusconi ma non l'ho mai votato». E ancora: «Mi hanno descritto come il braccio armato di Berlusconi ma non faccio parte di nessuna casta, loggia o associazione... Berlusconi mi è stato molto vicino e mi ha chiesto di destinare parte del suo denaro per costruire qualche ospedale in Africa. Gli rompevo le palle tutti i giorni. Se l'è ricordato. Oggi non si può. Domani magari ne approfitto».
Il vero affondo è a Repubblica: «Perché non mette in pagina le intercettazioni che mi scagionano e solo quelle due o tre che orientano l'opinione pubblica?». Ed ecco la parte che fa davvero gioco al Fatto, quella sulle intercettazioni col capo dello Stato: «Repubblica le ha ma non le pubblica», tuona Bertolaso.

E aggiunge: «Forse leggendo il testo dei dialoghi tra Bertolaso e Napolitano si sarebbe finalmente capito chi era davvero il mio referente nelle difficoltà». Nessuna accusa diretta a Napolitano, anzi. Ma ad attaccare il capo dello Stato ci pensa Il Fatto. In proprio. Sfruttando per un suo fine anche un «non amico» pluriattaccato come Bertolaso.

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