L a decisione era nell'aria. Troppa la fretta di interrogare, lunedì scorso, quel condannato eccellente italiano diventato un caso scomodo. Troppe le pressioni delle autorità italiane. E così, a tempo record considerato che le carte sono arrivate una settimana fa e che si tratta di migliaia di pagine, Marcello Dell'Utri, ex senatore Pdl condannato in via definitiva lo scorso 9 maggio a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, si appresta a essere riportato in Italia, per essere messo in cella e scontare la sua pena, diventata definitiva. Il governo libanese ha dato il via libera alla sua estradizione, o meglio non si è opposto a che il ministro di Giustizia, che è titolare del caso, vada avanti. A questo punto i passaggi, tutti politici, sono pochi. Il decreto di estradizione deve essere firmato dallo stesso ministro di Giustizia e dal primo ministro libanese. Quindi deve dare il suo placet il presidente della Repubblica libanese. Subito dopo Dell'Utri potrà essere rimpatriato.
Il «sì» all'estradizione, atteso visto che c'era una riunione del Consiglio dei ministri, ieri è diventato un mezzo giallo. Il via libera al trasferimento immediato in Italia, dato per certo inizialmente tramite l'Ansa dal giudice Ahmad Al Ayubi, il magistrato che segue il caso per il ministero della Giustizia libanese («sarà in Italia la prossima settimana», la dichiarazione a lui attribuita) è stato gelato da un'altra dichiarazione del governo libanese: «Non c'è ancora una decisione ufficiale sull'estradizione di Marcello Dell'Utri». Quindi la spiegazione. L'atto era sì in Consiglio dei ministri, ma essendo un decreto amministrativo, non doveva essere dibattuto. Al più poteva esserci un'opposizione che però non si è verificata. Di qui il via libera, di fatto, all'estradizione, per quel che riguarda le competenze del Consiglio dei ministri. E infatti, in serata, una fonte governativa ha confermato: «Marcello Dell'Utri sarà in Italia entro giovedì». E il ministro del Lavoro libanese Sejaan Azzi, vicino all'ex presidente Amin Gemayel, l'amico su cui Dell'Utri avrebbe contato: «È un problema italiano, non del Libano. Qui abbiamo problemi più gravi. Prendetevelo».
Dunque rientro, subito. In barba a chi diceva che il Libano - vedi anche la vicenda Scajola-Matacena - era un rifugio sicuro. «Tempi rapidi» aveva chiesto il ministro di Giustizia Andrea Orlando, facendo un po' arrabbiare le autorità libanesi. E Beirut ha risposto con tempi rapidissimi, a cominciare dai giudici che in meno di una settimana hanno letto migliaia di pagine, quelle delle quattro sentenze - di quella definitiva della Cassazione, la quinta, arrivata il 9 maggio scorso, le motivazioni non sono ancora note, c'è solo il dispositivo - che in altrettanti processi hanno condannato l'ex parlamentare. Una fretta sospetta, secondo l'avvocato Giuseppe Di Peri, difensore di Dell'Utri, che aspetta le motivazioni della sentenza per il ricorso a Strasburgo: «Il caso giudiziario, evidentemente, è diventato caso politico. È impensabile che in così poco tempo i giudici libanesi abbiano potuto leggere quelle migliaia di carte». Esulta invece, stentando quasi a credere alla notizia, il pm palermitano Vittorio Teresi: «Devo dire che ero pessimista afferma e non ero fiducioso, ma non so per quali alchimie politiche l'estradizione di Dell'Utri è stata possibile. È un segnale importante, perché altrimenti avremmo fatto tutti una pessima figura, è una notizia bellissima».
Che accadrà adesso? Se i tempi saranno davvero quelli prospettati, Dell'Utri finirà in cella nel giro di qualche giorno. Dovrà lasciare l'ospedale Al Hayat, dove è ricoverato in regime di arresti ospedalieri dallo scorso 12 aprile, quando le autorità italiane lo hanno individuato (usava cellulare e carta di credito, un latitante a dir poco maldestro) in un hotel di lusso. Dove sarà messo in carcere Dell'Utri? Probabilmente a Roma, dove atterrerà al rientro dal Libano.
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