L'ira della Biancofiore, unica silurata da Letta

L'ormai ex sottosegretari: "L'ho saputo dalla tv, questo è mobbing"

Michaela Biancofiore al termine del vertice del Pdl
Michaela Biancofiore al termine del vertice del Pdl

Roma - Epurata a mezzo stampa. Alla fine della giostra l'unica poltrona del governo che salta è quella di Michaela Biancofiore, le cui dimissioni da sottosegretario sono le sole che Enrico Letta non ha respinto. Il premier ieri ha annunciato la decisione di far fuori dall'esecutivo la fedelissima del Cav alle telecamere di SkyTg24: «Quando il giorno prima della sfiducia si erano dimessi i ministri e alcuni sottosegretari - la spiegazione di Letta - la discussione con i ministri ha portato a respingere le loro dimissioni, altri sottosegretari hanno ritirato le loro dimissioni. Biancofiore non ha ritirato le dimissioni quel giorno e io, per far capire che le cose sono cambiate, ho deciso di accettarle».
Il motivo, dunque, sarebbe «punitivo», e legato al mancato ritiro. Un punto su cui l'ormai ex sottosegretaria, che si è detta «furibonda» per la scelta del presidente del consiglio, non concorda affatto, lasciando intendere che sia un colpo basso del premier alla fragile unità del Pdl, un fendente tra l'altro partito nella stessa intervista in cui Letta non ha lesinato attacchi a Berlusconi, e mentre Alfano sulla sua pagina Facebook sosteneva di «non voler accettare ingerenze» nel «libero confronto» interno al Pdl.
Così Biancofiore confuta il premier e ricorda che i suoi colleghi di partito al governo «non hanno ritirato le dimissioni, ma queste sono state respinte dallo stesso Letta, cosa da lui confermata anche per i sottosegretari nel corso delle dichiarazioni sul voto di fiducia nell'aula della Camera dei deputati». Quanto basta a provare che il «movente» del siluramento sarebbe dunque pretestuoso, figlio di una logica da «figli e figliastri», come osserva la parlamentare del Pdl Deborah Bergamini.
Biancofiore, che lamenta anche di aver appreso la notizia a mezzo stampa, si rivolge dunque al «vicepremier e segretario del mio partito», Alfano, «affinché renda noto se si tratta di una epurazione frutto di una precisa scelta politica, di mobbing che nulla ha a che vedere - con tutta evidenza - con l'unità del partito da più parti evocata».
Nel silenzio di Alfano, la defenestrazione della Biancofiore da Palazzo Chigi fa registrare la replica del commissario provinciale bolzanino del Pdl Alessandro Bertoldi, che legge il «grave sgarbo istituzionale» riservato da Letta come «un'evidente epurazione simbolica dal governo della massima espressione del berlusconismo nell'esecutivo».

Ma più che con il premier, Bertoldi se la prende con il «silenzio dei ministri in quota Fi-Pdl»: «Non starò nel partito di Alfano e di questa gente - conclude il coordinatore altoatesino - e con me molti altri. Hanno tradito l'elettorato e Berlusconi. Faranno la fine di Fini».

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