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L'ira dei colonnelli: «Ci divide». L'ironia Pdl: «Verrà da noi»

RomaQuale sia il clima dello scontro, nel Pd, lo fotografa un battibecco apparentemente secondario. Ieri di buon mattino, ben prima che Matteo Renzi salisse sul podio di Verona per lanciare ufficialmente la sua candidatura, Oriano Giovanelli, parlamentare Pd con un lungo cursus honorum nel Pci-Pds-Ds, attacca il sindaco: è vero o no, chiede, che «dopo Giorgio Gori, produttore di innumerevoli programmi televisivi oltre che ex dirigente Mediaset, nello staff di Renzi vi sarebbe anche Luigi De Siervo, figlio dell'ex presidente della Corte Costituzionale Ugo, e che attualmente ricopre l'incarico di direttore commerciale della Rai?».
De Siervo era in effetti ieri a Verona, ad ascoltare il sindaco di Firenze. Ma solo in qualità di amico del neo-candidato: anzi, precisano i renziani, «è uno dei suoi più cari amici, e non fa parte dello staff: si limita a dargli qualche consiglio». Però la sua amicizia, quella di Gori, persino la presenza di Renzi a Ballarò martedì scorso (una «plateale sponsorizzazione», secondo i suoi avversari nel Pd, una «trappola» secondo un simpatizzante come Paolo Gentiloni: «lo hanno invitato proprio il giorno in cui giocava la Nazionale, penalizzando lo share») sono tutti elementi utili a creare attorno a Renzi l'aura mefitica del simil-berlusconismo, della longa manus del Cavaliere e del suo strapotere televisivo nelle sane file del popolo di sinistra.
Nel frattempo, però, i big del Pd tirano il freno alle polemiche, che rischiano di portar acqua al mulino di Renzi e della sua guerra alla nomenklatura. Massimo D'Alema è addirittura paterno: «Matteo è e resta uno dei nostri: sono assolutamente convinto che, al di là delle posizioni espresse nel corso di primarie che mi auguro vivaci ma serene, Renzi rimarrà a pieno titolo nel Pd». Il neo-barbuto capogruppo Dario Franceschini è più sarcastico: dopo aver accusato Renzi di avergli rubato lo slogan «Adesso» (anche lui lo usò nelle primarie, sempre contro Bersani) ora gli chiede: «Prossima tappa la barba?».
Il diretto concorrente, Bersani, non commenta il discorso dello sfidante ma chiama a raccolta i sindaci amici: da quello di Monza a quello di Perugia, ieri si susseguivano le dichiarazioni di voto pro-segretario dei primi cittadini a lui vicini. Pure quello di Bari Michele Emiliano (che deve guadagnarsi la nomination del partito a presidente della regione Puglia, quando Vendola si dimetterà) spiega che starà con Bersani, perché «Renzi non sa fare gioco di squadra».
Si schiera con lo sfidante, invece, Achille Variati, protagonista di un'inaspettata vittoria Pd a Vicenza: «Sono con Renzi perché non è un culo di pietra, è portatore di novità, di energia, di passione, di gioventù, di cambio generazionale». E con il giovane sindaco sono anche neo-parlamentari come Andrea Sarubbi e come Mario Adinolfi: «Il discorso di Renzi è importante perché abbatte lo steccato con chi ha votato in passato per Berlusconi. Il sindaco di Firenze dichiara chiusa la stagione dell'antiberlusconismo militante e per me è un passo fondamentale per la crescita del centrosinistra».
Dal centrodestra, le reazioni oscillano tra fascinazione e preoccupazione. Alle avances del sindaco candidato ai «delusi del Pdl» ribatte Angelino Alfano: «Renzi dice cose talmente simili alle nostre e talmente irrealizzabili nel suo campo che se perde le primarie finirà per votare per noi». Gaetano Quagliariello incita alla riscossa il popolo pidiellino assediato dalle sirene renziane: «Ho sentito un candidato del Pd alle primarie dire che non ha paura di prendere i voti del centrodestra.

Noi invece non dobbiamo avere paura di chiedere i voti di Renzi». L'ex ministro Altero Matteoli avanza un'ipotesi maligna: «Matteo Renzi questa corsa la fa non tanto per candidarsi e vincere alle prossime elezioni, ma per sfasciare un partito, il Pd, nel quale non si riconosce più».

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