L'Istat all'improvviso scopre che esistono i poveri

L'istituto lancia una nuova bordata al governo ma i dati raccontano un'altra storia

L'Istat all'improvviso scopre che esistono i poveri
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C'è un nuovo sport nazionale: tirare fendenti contro il governo Meloni con i numeri in mano. O meglio, con la calcolatrice dell'Istat, che negli ultimi giorni sembra funzionare solo in modalità allarme rosso. Prima l'audizione sulla manovra - un mezzo comizio mascherato da relazione tecnica - poi l'uragano di comunicati su inflazione alimentare, povertà e disuguaglianza. Tutto, rigorosamente, a ridosso della legge di Bilancio. Tempismo perfetto: manco a farlo apposta.

Il presidente Francesco Maria Chelli, che pure è un tecnico stimato, ha deciso di presentare gli effetti del taglio Irpef per quintili di reddito, come se l'Italia fosse un Paese popolato da miliardari. Peccato che sopra i 20mila euro l'anno ci sia una minoranza di contribuenti: non i ricchi, ma la spina dorsale produttiva del Paese. Eppure, ecco la morale della favola: l'85% dei benefici andrebbe ai più benestanti. Una rappresentazione capovolta della realtà, dove chi lavora e paga le tasse viene trasformato nel cattivo della storia.

Poi, come se non bastasse, mercoledì scorso è arrivata la perla dell'inflazione alimentare al 25% dal 2021. Scoperta dell'acqua calda: i prezzi del cibo sono aumentati quando è esplosa la guerra in Ucraina, il gas è schizzato alle stelle e i costi dei trasporti (tutti su gomma, in Italia) hanno fatto il resto. Ma dove erano allora i custodi del dato pubblico? Quattro anni di silenzio, e ora il dramma della spesa impossibile. Forse qualcuno si è accorto tardi che il carrello della spesa non viaggia in metropolitana.

E mentre l'Istat dipinge un Paese di miserabili, i numeri dicono altro.Il reddito disponibile pro capite è salito del 2,7%, l'inflazione è tornata in prossimità dell'1%, e l'indice di Gini (che misura la disuguaglianza) è rimasto sostanzialmente stabile. La Bce, non una sezione di partito, ha certificato che l'Italia è tra i Paesi europei che meglio hanno recuperato il fiscal drag, segno che le politiche per i redditi medio-bassi hanno funzionato.

Eppure, di tutto questo nel Rapporto Bes non c'è traccia. Si preferisce il racconto a tinte fosche, quello del Paese allo stremo, con la povertà che cresce di un decimale come se fosse l'anticamera dell'apocalisse sociale. Intanto il governo Meloni ha messo oltre 20 miliardi l'anno per sostenere i redditi bassi: taglio del cuneo, accorpamento delle aliquote, bonus mamme, Carta acquisti, asili. Ma l'Istat, pare, non se ne accorga.

E ora che arriva pure il Bes, la sensazione è che qualcuno a via Balbo stia scambiando il bollettino statistico per un editoriale d'opposizione: si evocano disuguaglianze, emergenze, famiglie in difficoltà senza dire che, nel frattempo, la quota di chi dichiara di arrivare a fine mese con difficoltà si è ridotta di due terzi in dieci anni. Altro che Paese alla fame, narrazione ingannevole!

Forse all'Istituto di statistica serve un ripasso di realtà: l'Italia non è un Paese di morti di fame, ma una nazione che, nonostante pandemie, guerre e tassi Bce, resiste meglio di altri.

Certo, il ceto medio attende ancora il suo riscatto, ma chi ha avuto di più finora sono stati i meno abbienti. E questo governo non li ha dimenticati. L'impressione, invece, è che qualcuno all'Istat abbia smarrito il senso della misura. O, più semplicemente, il senso del momento.

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