Liste civiche, la ricetta dei sindaci per fare da argine all'antipolitica

Da Nord a Sud è un fiorire di formazioni autonome mentre la sfiducia nei partiti è al 91%. Gli indecisi sono il 40% e i primi cittadini corrono ai ripari

Liste civiche, la ricetta dei sindaci per fare da argine all'antipolitica

L’ultimo scontrino di Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita, 200 euro di soldi pubblici solo alla voce antipasto. Davide Boni il presidente leghista del Consiglio regionale lombardo indagato per una storiaccia di mazzette. Il deja vu di Walter Veltroni che parla a Pier Luigi Bersani perché Massimo D’Alema intenda. Il quid di Angelino Alfano, che prima non ce l’ha e poi lo tira fuori. Fotografie dallo «schifo», per dirla come l’ha detta di recente il ministro Andrea Riccardi. Pare che gli elettori non ne possano più. Lo hanno confessato ai sondaggisti, che poi hanno avvertito i politici: c’è un 40 per cento di indecisi. Indecisi non fra un partito e l’altro, ma fra stare a casa e andare al mare, visto che il 91 per cento non ha più fiducia nei partiti.
Se è così, è chiaro che l’unica soluzione per portarli alle urne sia dire loro: venite parvulos, i partiti non contano più, la politica siete voi. E così ecco a voi le liste civiche, ultimo (ma antico) ritrovato della politica che non vuole seppellire se stessa. Il simbolo di questa crociata è il sindaco di Verona Flavio Tosi che, al netto delle minacce di espulsione di Umberto Bossi, ha aperto una finestra, anzi un portone, su una realtà non più rinviabile: «Se corro da solo prendo il 30%, se corro con la Lega mi fermo al 20%: vinco lo stesso, ma non riesco a governare», ha detto a Michele Brambilla sulla Stampa. Perché, va dicendo da tempo il primo cittadino leghista, «ci sono persone, di centrosinistra o del Pdl, che voterebbero me ma non il Carroccio». Tosi porta l’esempio di quel che accadde nel ’97, quando fu plebiscito proprio grazie alla sua lista.
Ma il ragionamento vale doppio nell’era in cui i tecnici agli occhi degli italiani hanno salvato il Paese dal default e dai politici. E così proliferano. A livello locale per le prossime amministrative, certo. Ma soprattutto in vista del 2013. È l’evoluzione di quel crescendo di sindaci di centrosinistra che alla fine degli anni Novanta si fecero sempre più forti grazie all’elezione diretta: alla fine il loro potere era tale che rifiutarono di ricandidarsi sotto i simboli dei rispettivi partiti, concedendo al massimo di collegare il proprio nome alla coalizione. «Sono cacicchi» sbottò allora D’Alema, chissà se prevedendo i successivi risvolti. Di fatto, adesso questo è. Gli amministratori locali corrono per sé, facendosi scudo della debolezza dei partiti. Il resto del mondo si organizza, basti pensare all’ultimo progetto, «Per una lista civica nazionale», che in vista del 2013 raccoglie reti e movimenti «come alternativa concreta al sistema dei partiti».
E la politica che fa? Mette il cappello. Sul fronte Pdl, il primo a individuare nelle liste civiche un elemento di traino è stato Silvio Berlusconi, che le ha autorizzate a livello locale, pur se collegate al Pdl. A ricordarlo sono stati ieri Renata Polverini e Gianni Alemanno. «È un momento difficile dal punto di vista politico, ma è anche una straordinaria occasione per chi vuole iniziare un’avventura nelle istituzioni, per portare volti nuovi» ha detto la governatrice del Lazio. «Il movimento delle liste civiche è un grande fattore di rigenerazione della politica» ha aggiunto il sindaco di Roma. Se il Pdl aggrega, o almeno ci prova, nel campo del Pd il gioco si fa pericoloso. La lista civica nazionale, già ribattezzata «lista dei sindaci», cui stanno lavorando i primi cittadini di Bari e Napoli, Michele Emiliano e Luigi De Magistris, da una parte interpreta il malcontento degli italiani, quando dice di voler candidare «il meglio del meglio» della società civile, dall’associazionismo al mondo scientifico e culturale. Dall’altra parte rassicura i partiti, perché i candidati «civici» dovranno comunque giurare fedeltà al programma della coalizione. «Non vogliamo fare concorrenza ai partiti, né fare movimenti personalistici, ma metterci al servizio del centrosinistra» giura Emiliano. Eppure non si può non temere dichiarazioni come quella di De Magistris, che fa due conti e annota: «Se ci presentassimo prenderemmo almeno il 20 per cento». Motivo: «Molti cittadini sono disposti a votare per il centrosinistra, ma non si riconoscono nei partiti attuali». Un po’ quello che è accaduto alle comunali, dove (De Magistris docet seguito da Giuliano Pisapia a Milano) i sindaci hanno vinto con i voti degli scontenti, quindi nonostante i partiti. Un potere di aggregazione, dunque, ma anche di concorrenza al Pd, e non è un caso che Bersani sia perplesso causa diffidenza.
A ben guardare, del resto, tutto volge al civico, anche l’ormai fantomatico (ma par di capire pronto) progetto di Luca Cordero di Montezemolo. Voleva buttarsi nella mischia nel 2011, poi il governo tecnico s’è mangiato il voto anticipato.

Ora guarda al 2013, ma quello resta: «Non un partito, ma un movimento» è la parola d’ordine di Italia Futura. Che a guidarlo sia Corrado Passera o Pier Ferdinando Casini, quello resta: un listone, naturalmente civico. Nonostante i politici.

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