Roma - «Le regole della finanza devono essere ora finalizzate alla crescita». Enrico Letta scandisce le parole. Sa bene che la svolta raggiunta al G8 in Irlanda del Nord («appena un anno fa si pensava soltanto a mettere in sicurezza i bilanci», ricorda) innescherà reazioni a catena a Bruxelles e a Roma. E gli permetterà di dare le risposte che si aspettato sia il Pd, sia il Pdl. Anche a costo di una rettifica della politica economica fin qui seguita: tutta concentrata sull'offerta, mentre il G8 chiede a gran voce politiche a favore della domanda.
Ha ragione il presidente del Consiglio di tornare soddisfatto a Palazzo Chigi. Per certi aspetti, la posizione italiana è invidiabile, visti gli altri partner dell'Eurozona presenti. E non è un caso che Obama abbia giocato di sponda proprio con le posizioni italiane. A partire dal sostegno dato alle politiche per l'occupazione giovanile. Fino al punto da diventare, durante il vertice, una sorta di «coscienza critica» della Germania.
Visto il clima, Berlino ha accettato il pressing in silenzio. In attesa delle elezioni del 22 settembre, la Merkel sta nascondendo sotto le vesti delle regole europee il profilo tedesco del rigore. La Francia, che ha già ottenuto due anni di tempo in più per scendere sotto un deficit al 3%, ha fatto sapere nei corridoi irlandesi di avere difficoltà a rispettare anche questo rinvio. Così la partita si sposterà a Bruxelles.
E lì, in nome della flessibilità dei Trattati, e ballando sull'orlo del 3%, Letta è pronto ad iniziare una discussione su come introdurre misure a sostegno della crescita, sfruttando proprio le regole della finanza. In altre parole, vuol dire che il governo italiano (lato presidenza del Consiglio) conta di utilizzare poco meno di un punto percentuale di Pil da dedicare allo sviluppo per creare occupazione. E sebbene Letta sia stato estremamente cauto sull'argomento, vale la pena di ricordare che la mancata introduzione dell'aumento dell'Iva e il rinvio dell'Imu pesa per circa mezzo punto sui conti dello Stato. Insomma, ci sarebbero i margini per disinnescare le «bandiere» del Pdl senza sfondare il 3%. Per di più, si tratterebbe di scelte orientate a favorire la domanda.
Al ministero dell'Economia avrebbero qualche perplessità sul tema: a causa del calo del Pil, difficilmente sarà possibile rispettare gli obbiettivi previsti di deficit. Ma in aiuto del presidente del Consiglio arriva un passaggio del comunicato finale del vertice: «Nel breve periodo la politica di bilancio dove consentire flessibilità per adattarsi alla situazione, concentrandosi sui deficit strutturali». Il deficit strutturale è un indicatore che viene elaborato dopo aver sottratto al deficit tendenziale tutta una serie di voci negative che pesano sull'indebitamento. E tra le voci che il G8 nord irlandese ha fatto capire che devono essere eliminate ci sono quelle a favore della crescita e a sostegno della disoccupazione, soprattutto giovanile. Musica per le orecchie di Letta, anche per forzare qualche resistenza del Mef per un negoziato tutto «politico».
Non si tratta di riscrivere i Trattati Ue; ma di interpretarli e leggerli con gli occhiali del G8. «Dell'Italia ci si può fidare», dice Letta. Soprattutto viste le condizioni degli altri partner europei che siedono tra i Grandi. Con un po' di «coda di paglia», il primo ministro inglese Cameron ha valorizzato il risultato sulla lotta all'evasione fiscale ed alla trasparenza dei bilanci. Non a caso. Le Isole del Canale sono (o, forse, erano) considerate paradisi fiscali a tutti gli effetti. Comunque, nelle conclusione di ogni G8 o G20 che si rispetti viene dato ampio risalto alla lotta contro i paradisi fiscali.
Tutti hanno convenuto sulla validità dell'area di libero scambio commerciale tra Stati Uniti ed Europa. Anche se i negoziati che si apriranno a luglio somigliano da vicino a quelli del Wto, vista anche la posizione francese poco incline alle aperture commerciali.
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