L'Italia ostaggio di quel 3% che ci ha spinto nel baratro

La croce che portiamo del rapporto deficit/Pil imposto dall'Ue è troppo pesante e cancella le speranze di ripresa. Una moneta unica per mercati così diversi non poteva funzionare

L'Italia ostaggio di quel 3% che ci ha spinto nel baratro

Penso che siano molti gli italiani che oggi vorrebbero, come me, poter scrivere una lettera confidenziale ad Angela Merkel, alla «donna» Angela Merkel che ha in mano, con il potere politico, il destino presente non soltanto dei tedeschi, ma di tutti coloro che sono legati a Maastricht e alla moneta euro.
Perché vorremmo scrivere alla donna Merkel, più che al capo del governo della Germania? Perché l'euro, Maastricht e la «dittatura del 3%» hanno portato terribili sofferenze a coloro che vi sono stati coinvolti; perché la crisi che ha investito l'Europa è dovuta, in modo diretto tanto quanto in modo indiretto, ai parametri di Maastricht e alla sua moneta; perché le migliaia di suicidi di Francia (chi potrà mai dimenticare i 57 suicidi dei dirigenti di France Telecom?), di Grecia, d'Italia, sono stati provocati da questa crisi, così come le migliaia di disoccupati, di imprenditori falliti, di aziende costrette a chiudere.
Faccia un giro nella Lombardia, motore dell'economia produttiva italiana, cara Signora Merkel, e vedrà il risultato del grande mercato promesso da Maastricht e dalla sua moneta: le fabbriche sono tutte chiuse.

Non creda ai politici che vengono a trovarla, inclusi quelli italiani, come Monti prima e ora Letta e i suoi ministri, Saccomanni e Zanonato, tutti a portare la croce del 3%, in ginocchio davanti a questo totem: lei lo sa bene che le loro verità non sono verità. Se dicono, come dicono, da oltre tre anni, che si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel, è perché questo tunnel non è un tunnel, ma la realtà. Si affidi al suo cuore e capirà, sentirà quanta disperazione è accumulata dietro le macerie di ogni fabbrica chiusa, di un'Europa che era nel pieno della rinascita industriale, commerciale, culturale quando Maastricht e l'euro hanno spazzato via a poco a poco ogni speranza di vedere risorgere un grande mercato italiano ed europeo.

Ma soprattutto si è spenta l'anima dell'Europa, la sua vera ricchezza. L'anima dell'Europa non è mai stata il mercato, ma la creatività, la scienza, la filosofia, l'arte, la musica, la poesia, la cultura: era questo che portava con sé, quasi come un inevitabile prodotto, anche il mercato e la ricchezza.
Maastricht e i suoi parametri sono sbagliati; una moneta unica per mercati diversi e prodotti diversi non può funzionare: l'ha affermato, insieme a molti altri famosi economisti, anche il Premio Nobel Amarthya Sen. Ma per chi è abituato a fare scienza, quello che conta sono i risultati di un esperimento. Ebbene, consideriamo la situazione dell'Europa come il risultato di questo esperimento: è evidente che i calcoli erano sbagliati.
Ci troviamo ormai davanti a dei nuovi martiri: quelli che si sono sacrificati e che debbono sacrificarsi per rimanere nel sacro parametro del 3% del Pil e mantenere in vita l'euro. Ci troviamo davanti, infatti, all'abbandono di ogni razionalità, di ogni possibilità umana di dubbio, di alternativa, di scelta, ossia davanti a un puro fenomeno di «sacralità»: sacrificarsi, morire, ma non venire meno.

E, se non si vuol credere all'instaurarsi del Sacro nel pieno di un discorso mercantile e finanziario, allora siamo costretti a ripiegare sulla patologia fobica. Quando il Signor Saccomanni afferma che, se si sfora il 3 % del Pil, lui dà le dimissioni, ebbene appare abbastanza evidente che ci troviamo fuori dalla normalità razionale e che una qualche fobia sta comparendo all'orizzonte dei tutori della nostra economia.

Coraggio, coraggio, cari economisti e banchieri: non lasciatevi prendere pure voi dalla disperazione dei parametri, dopo averla imposta a noi in tutti questi anni come un infallibile dogma teologico. È vero che sono una vostra creatura, ma tutti possono sbagliare e l'importante, come afferma un vecchio adagio, è non persistere nell'errore.

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