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Il low profile del Cavaliere: rimpasto solo dopo la sentenza

Berlusconi impone al partito una moratoria su etica ed economia in attesa della Cassazione. E il centrodestra vola nei sondaggi al 35%

Il low profile del Cavaliere: rimpasto solo dopo la sentenza

Non potendosi spaccare su quelli che sono davvero gli argomenti caldi del momento, nel Pdl si decide di incrociare le spade sui temi etici. Dalla legge contro l'omofobia fino ai matrimoni gay, sono questi i dibattiti che nelle ultime ore tengono banco non solo all'interno della maggioranza ma anche dentro un Pdl sempre più sfilacciato tra chi chiede una moratoria sui cosiddetti temi etici e chi invece auspica interventi veloci e, soprattutto, coraggiosi.
D'altra parte, Silvio Berlusconi è stato chiaro e ha imposto a tutti il low profile sia sull'affaire kazako sia sul triplo incarico di Angelino Alfano (vicepremier, ministro e segretario di partito), mettendo a tacere sul nascere le insofferenze che in via dell'Umiltà si manifestano ormai da settimane e le critiche di chi immaginava una soluzione diversa del caso Ablyazov.

Fino al 30 luglio, insomma, il Pdl è di fatto commissariato da un Cavaliere che ha detto chiaro e tondo di non voler sentire volare una mosca. «Il messaggio che dobbiamo dare è quello di un partito unito e compatto», ha ripetuto in questi giorni a diversi interlocutori. E ancora: «Nessuna polemica con Enrico Letta e nessun attacco all'esecutivo». E tanto è convinto della linea prudente che nell'ultima settimana Berlusconi s'è pure guardato bene dal concedersi i consueti sfoghi telefonici con questo o quel parlamentare, proprio per evitare che le sue parole finissero – come spesso accade in queste occasioni – sui giornali. Il Cavaliere, insomma, la linea Coppi la sta seguendo alla lettera e - nonostante le sue perplessità sulla magistratura restino tutte invariate - non vi è traccia in queste ore di alcuna polemica né di lamentele.

L'ex premier, dunque, resta blindato ad Arcore anche lunedì e riduce al minimo i contatti con l'esterno. La strategia rimane quella dell'attesa, almeno fino al 30 luglio, quando la Cassazione si pronuncerà sul processo diritti tv Mediaset: solo allora si capirà quale sarà il destino di un esecutivo che in un modo o nell'altro necessariamente risentirà della decisione della Suprema corte. Al di là delle intenzioni dei protagonisti, infatti, è chiaro che un'eventuale conferma della condanna a Berlusconi con conseguente interdizione dai pubblici uffici non può non condizionare un esecutivo già azzoppato dall'affaire kazako. Solo dopo il 30 luglio, però, si apriranno eventualmente le danze. «Fino ad allora nessun colpo basso al governo», ha ripetuto come un mantra Berlusconi ai big del partito. Tanto che pure i più critici – vedi Renato Brunetta o Daniele Capezzone – continuano sì a tenere alta la tensione sull'esecutivo ma con toni decisamente meno duri. Il capogruppo del Pdl alla Camera, per esempio, si guarda bene dall'usare la parola rimpasto e replicando al segretario del Pd Guglielmo Epifani chiede invece un «patto di legislatura» fino al 2018. E pure un falco come Daniela Santanché dice no al rimpasto, perché – spiega l'ex sottosegretario - ci sono altre priorità sul fronte economico.

La verità è che la questione aleggia e solo fra sette giorni – dopo la sentenza della Corte di Cassazione – si capirà se il tema della verifica di governo è o no all'ordine del giorno. Solo allora si potrà iniziare ad aver più chiaro se la finestra di ottobre per un eventuale voto anticipato è davvero del tutto chiusa o se, magari, si ragiona su elezioni nei primi mesi del 2014. Oppure se davvero il governo è destinato a durare fino al 2015 o addirittura – stando allo scenario di Brunetta – fino al 2018. Nel frattempo, i sondaggi continuano a premiare il centrodestra. Secondo la rilevazione Emg per TgLa7, infatti, se si votasse adesso si attesterebbe al 35% contro il 33,2 del centrosinistra e il 20 del M5S.

Con Enrico Letta che nell'ultima settimana perde un punto di fiducia e scende al 38%.

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