È Luca Zaia il simbolo del nuovo corso leghista. Lombardocentrica finché cera Umberto Bossi a sopire le rivendicazioni venete, da qui in poi la Lega vedrà spostare il proprio baricentro sempre più a Nord Est. Lui, il governatore veneto, ieri ha presieduto il congresso con piglio dispotico, zittendo i fischi, portando a termine i lavori senza sgarrare di un minuto, facendo scendere dal palco i delegati che si attardavano ad abbracciare il Senatùr quando ancora dovevano votare, smentendo persino pubblicamente il vecchio capo che sospettava «imbrogli» sullo statuto. Ma è soprattutto nel suo intervento che Zaia ha dimostrato la stoffa del leader. Dettando di fatto la linea con quei ripetuti «caro Bobo». È stato chiaro nel dire che no, la Lega non dovrà occuparsi di questioni etiche, «il Nord ha ben altri problemi». Ha dato la sveglia: altro che Beppe Grillo, «il nostro vero nemico è il Nord, perché quando andiamo a vedere i voti spesso sono quelli del Nord che non votano per il Nord». Poi ha rivendicato: «Io sono quello della Lega dei tombini e non me ne vergogno». Elencando poi «i fatti» della sua giunta, dalla riduzione del numero dei consiglieri allabolizione dei vitalizi, e facendo salire sul palco i suoi consiglieri regionali: «Questa è la Lega del Veneto, salutatela: li ho addestrati a correre, non a camminare».
«Prima il Nord» era lo slogan del congresso. E a Maroni, Zaia ha chiesto linea dura sugli immigrati: chi viene per rubare torna a casa, e se abbiamo ancora due lire per le case popolari le diamo prima ai nostri.PSet
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