Per l'ultrà rispetto, non lutto cittadino

Già lo raccontano come un eroe, capace di immolarsi per difendere i deboli dagli assalti della canaglia nemica. Ciro santo subito. Ciro martire. Purtroppo Ciro non è più niente: dopo (...)

(...) una lunga resistenza, il suo fisico si è arreso. Tanto dovrebbe bastare per una doverosa riflessione generale, per comprendere fino in fondo a quali livelli di degrado e di vuoto siano giunti i riti pagani di certi ambienti. Ma c'è di più: Napoli proclama il lutto cittadino. Il sindaco De Magistris lo considera un atto naturale e dovuto: «Non è solo per Ciro e per i suoi familiari, ma anche per dire no alla vendetta e al binomio calcio-violenza».
L'Italia era abituata (purtroppo, molto abituata) al lutto cittadino per le più diverse tragedie. Per le vittime dei cataclismi naturali, per i bambini messi sotto dagli ubriachi alla guida, per le famigliole sterminate dai giovani papà impazziti, per i soldati caduti in missione di pace. Tante, tantissime giornate con bandiere a mezzasta e saracinesche abbassate, nel segno del silenzio, della riflessione, della preghiera. La città che piange il suo martire. Adesso abbiamo un inedito: la città che piange il suo martire tifoso. Con la Digos già in azione per controllare chi arriva, con i reparti già schierati per evitare nuove violenze, con il dolore e il lutto che rischiano di finire mestamente sullo sfondo, lasciando ancora una volta il campo alla rabbia, all'odio, alla vendetta.
Il vero lutto cittadino sono i visi stravolti della mamma Antonella e della fidanzata Simona, i volti di tutte le madonne chiamate in ogni epoca a piangere disperatamente le loro creature. Il sangue versato sui selciati dei sobborghi romani, in quella notte di delirio tribale e di esaltazione bellica, è qualcosa di troppo grande e di troppo forte per restare dentro le banalità di faccende sportive. Ma purtroppo Ciro se ne va nel momento peggiore, se un momento peggiore può esserci: proprio nelle ore del grande fallimento azzurro, firmato dalla nazionale di Prandelli.
Così, è inevitabile il sovrapprezzo: montando lo psicodramma collettivo, Ciro capita a fagiolo. Cominciano subito a tirarlo per la bara. C'è chi se ne serve per attenuare gli effetti della disfatta sportiva (Malagò, presidente Coni: «La scomparsa di questo ragazzo è il primo e unico dramma che deve fare riflettere gli italiani»). C'è chi se ne serve per spiegare il fallimento cosmico di un intero sistema (l'agenzia Sir, dei vescovi: «La morte di Ciro è il vero fallimento del calcio italiano: non il fallimento riconosciuto da Buffon, ma quello del calcio violento, che precede quello del calcio giocato e in qualche modo lo ha preconizzato»).
Tutto così lampante. Tutto così politicamente corretto. Eppure così è anche troppo facile. Si prende la squadra che fa pena, si sovrappone lo scandalo di una vittima sacrificale e il ragionamento è perfetto: Ciro spiega un disastro ben più profondo, Ciro attenua la squallida eliminazione. Un figurone. Di logica e di buon pensiero. Quanto conformismo, però.
Di fronte a un ragazzo che lascia nella disperazione la sua famiglia e la sua fidanzata, bisognerebbe avere la forza di tenerlo fuori. Questo il vero omaggio. Le due vicende sono molto lontane. Ciro muore al termine di una storia folle, una storiaccia di cronaca nera, che riguarda purtroppo il clima dell'intero sistema Italia, compromesso dal degrado ideale, dal vuoto e dalla deriva violenta di sempre più larghe fasce sociali.
Dall'altra parte, molto in là, c'è la crisi sportiva del settore calcio. Tutta un'altra faccenda. Troppo facile adesso metterla subito in secondo piano perché non c'è paragone con la tragedia di Ciro. Ci conosciamo bene: siamo i furbetti della partitina. Ma diciamo le cose come stanno: sovrapporre il dramma reale, il lutto vero, al dramma finto e al lutto cialtrone delle piazze disilluse, tra fumi di alcol e hamburger tricolori, è vergognoso. Domanda alla nostra coscienza, a quel che resta: se per caso l'Italia avesse trionfato, che si diceva di Ciro? Un deprecabile incidente di percorso, nel quadro dell'entusiasmante rinascimento italiano? Viceversa: se Ciro non fosse morto l'altra sera, davvero avremmo accolto la sconfitta con questa misura e questa discrezione, via, le tragedie sono altre, in fondo si vince e si perde?
No, non abbiamo scelto il modo migliore per ripartire. Usando Ciro per coprire, per spiegare, per attenuare il disastro della biblica spedizione azzurra, produciamo solo ipocrisia.

Anche se Ciro fosse ancora qui, il calcio italiano sarebbe comunque disastrato. La sua morte non aggiunge e non cambia niente. Già che siamo così listati a lutto e così meditabondi, proviamo a immaginare la prossima Napoli-Roma, tanto per ipotesi.

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