Ma l'unica cosa che lo tiene in vita è la scappatella

Innamorarsi a 60 anni si può? Io sono disilluso. Il tradimento può capitare e serve per non morire di noia. Che errore farne il motivo per divorziare

Il problema non è se sia lecito o no innamorarsi a 58 o 68 anni. L'età non conta. È vecchio soltanto chi deve morire domani. E quel domani arriva in un momento qualsiasi della vita, magari quando si è giovani. Distinguiamo. Michele Placido è vicino ai 70 e si sposa con una ragazza che ne ha 40 di meno: lui non è ridicolo per ciò che fa, ma per come lo fa. Ha detto bene Aldo Grasso: l'attore ha rivalutato Checco Zalone, celebrando un matrimonio in pieno stile rural-terrone, totalmente inadeguato ai tempi, al rango degli sposi, al tono che essi avevano sempre cercato di darsi per apparire diversi da ciò che sono: massì, un po' cafoncelli.

Le nozze di Placido hanno fatto notizia per come si sono svolte, non perché si siano svolte tra un uomo con i capelli grigi e una fanciulla in fiore. D'altronde, chi non è innamorato, e osserva due innamorati, non ricordando di esserlo stato, non li capisce. È più portato a ironizzare che a considerarli in uno stato di grazia.
Si sostiene che c'è una stagione per tutte le cose, anche per la passione. Sarà. Ma quando ci sei dentro, non sai uscirne. Gli altri ridono di te, e tu li compatisci e pensi: non sanno che si perdono. Tutti tendiamo a supporre che il nostro prossimo sia più stupido di noi: nulla di più falso. Uno che a 60 anni molla la moglie per correre appresso a una giovinetta, ti sembra grullo, un illuso: cosa crede, che lei gli stia accanto perché lo ama o perché le conviene?

La malizia di chi giudica certe situazioni è pari all'ingenuità di che le vive. Ma se chi, oggi, giudica con malizia, domani si innamorasse, cambierebbe opinione e sarebbe molto indulgente con gli altri spasimanti; anzi, sarebbe addirittura comprensivo e assai incuriosito dalle loro vicende, come succede a quelli che soffrono della stessa malattia. Se due diabetici, o due cardiopatici, si incontrano, si scambiano notizie, impressioni, sensazioni; allacciano un rapporto di solidarietà, direi di colleganza. Idem gli innamorati. Che sono anche più sensibili. Arrivano perfino a identificarsi in qualsiasi canzonetta sdolcinata che ascoltino alla radio, si commuovono, comprano il disco e lo regalano a lei o a lui, dipende.

C'è un detto volgare eppure efficace: a tavola e a letto non si invecchia mai. Al quale si contrappone un altro detto altrettanto volgare e altrettanto efficace: basta un mal di denti per dimenticare le pene del cuore. Tutto può succedere e tutto passa, lentamente o in fretta, ma passa. Anche un grande amore: si consuma, si logora, sbiadisce, svapora. Nel migliore dei casi, si trasforma in affetto, complicità, sintonia, comunione di intenti: parenti alla lontana dell'amore che era. Mi riferisco al matrimonio. La maggior parte di noi lo concepisce - o lo ha concepito - come unico, definitivo e cementato dall'amore, ritenuto sinceramente, al momento del «sì», indistruttibile, incorruttibile.
Poi nascono figli, si compra casa, si fanno sacrifici per tenere unita la famiglia. Tra i coniugi, più si rafforza il legame - che include mille interessi reciproci - e più calano il desiderio sessuale e il trasporto per il corpo dell'«altro», ormai talmente esplorato da non avere più misteri né elementi di attrazione. La norma è questa; perché mentire a se stessi? Ecco il punto: la fedeltà è una prigione nella quale si può campare sereni? Forse sì, da un certo punto di vista. Ma è la serenità di un detenuto rassegnato alla cella, abituato alla rinuncia della libertà che, essendo piena di tentazioni e di insidie, gli fa paura. Non la cerca più. Ma la fedeltà è un peso, una limitazione della smania di godere, la cui massima intensità si esprime attraverso l'appetito sessuale. Rinunciare al suo appagamento periodico significa non provare emozioni che non danno un senso completo all'esistenza, però la cospargono di sale e la rendono sapida, degna di essere sopportata anche nelle fasi in cui la routine minaccia di accidentarne il corso.

Qui mi riallaccio all'attacco di questo articolo: «Il problema non è se sia lecito o no innamorarsi a 58 o 68 anni». La realtà è che ciò accade, e bisogna prenderne atto, senza ridere né piangere. Quanto è naturale, nasce spontaneo e non danneggia nessuno, si può vietare? Condannare? Piuttosto occorre revisionare alcune idee sbagliate eppure diffuse circa il cosiddetto tradimento, vocabolo drammatico e carico di valenze negative. In un matrimonio che si protragga per decenni, non si dovrebbe escludere qualche digressione né valutarla quale causa di rottura, separazione e divorzio.

Ovvio. Il marito e la moglie che si scoprano traditi, data la mentalità corrente, subiscono un'offesa. Ma è solo questione di orgoglio ferito, ciò induce al rifiuto cieco di comprendere le pulsioni che determinano i comportamenti umani. Dei quali invece è utile conoscere la genesi allo scopo di non ritenerli determinanti per demolire l'intero edificio matrimoniale, che si regge su un impianto complesso e robusto, non meritevole di essere distrutto a cornate.

Talora la scappatella è indispensabile onde non abbruttirsi, non annegare nella noia ogni anelito di trasgressione. So bene che non è facile modificare una tradizione consolidata, specialmente se basata sull'esigenza di evitare turbative sociali e familiari. Ma non si può neppure pretendere che un istituto come il matrimonio stia in piedi con le stampelle dell'ipocrisia e dell'inganno. Il mondo è cambiato (non sappiamo se si sia evoluto o involuto, ma è cambiato). Tutto si è stravolto. È assurdo che solo la mentalità delle mogli e dei mariti, a riguardo della loro convivenza, non muti mai e non si adatti alla nostra epoca.

D'accordo. È stata superata l'indissolubilità del connubio; ma scioglierlo, come purtroppo usa (provocando guai mostruosi), per uno o due episodi di infedeltà, è un delitto, le cui vittime sono tutti i componenti della famiglia. Che è una società di mutuo soccorso e va tutelata dai soci al di là degli aspetti di letto, dei capricci, dell'insopprimibile voglia di evasione, che è poi voglia di ribellarsi alla depressione. Papa Wojtyla parlava autorevolmente di necessità di perdonare.

Più modestamente, mi accontenterei di vedute più larghe, di una cultura della tolleranza. Suvvia. Se ogni volta che uno si prende una cotta e si abbandona all'amore extraconiugale, è costretto a divorziare, meglio che si lanci dalla finestra (il discorso vale per lui, quanto per lei).

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