Il made in Italy del lusso ucciso da fisco e burocrazia

Il premier Mario Monti ammette di aver peggiorato la crisi economica ma non è una confessione: è la presa d'atto di una situazione che colpisce tutti i settori produttivi, anche quelli che rappresentano l'orgoglio del made in Italy. Dagli orafi alla nautica, dalle auto di lusso al tessile è tutto un cimitero di croci col segno meno davanti ai dati che indicano produzione, vendite, posti di lavoro. All'origine di questo disastro c'è un denominatore comune: l'eccesso di tassazione che per fare, un esempio, ha provocato la fuga dei proprietari di barche dai porti italiani. Solo a gennaio si è avuta la disdetta del 40 per cento degli ormeggi. E la tassa di possesso che doveva fruttare 115 milioni di euro si è rivelato un flop: alla fine nella casse dello Stato sono entrati appena 23 milioni.
Discorso analogo vale per il settore delle auto di lusso. Qui l'introduzione del superbollo e la spettacolarizzazione della lotta all'evasione fiscale che costringe i proprietari a viaggiare con la dichiarazione dei redditi nel cruscotto e a mostrarla anche più volte in una giornata, ha portato a una contrazione delle vendite che non è allarmante, è drammatica. Le concessionarie hanno registrato una contrazione del 70 per cento mentre i due marchi simbolo, la Ferrari e la Maserati, contano di chiudere il 2012 con una contrazione del venduto rispettivamente del 40 e del 70 per cento.
La pressione fiscale troppo alta è la spina nel fianco anche del settore tessile che però patisce anche le disfunzioni dell'apparato statale.

Così alcuni imprenditori denunciano l'inefficienza dell'Ice, l'Istituto per il commercio estero, supporto indispensabile per chi punta sull'esportazione mentre altri denunciano la scarsa trasparenza dei bandi per gli appalti pubblici e l'impotenza dell'Autorità che vigila sui contratti pubblici.

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