Magistrato morde magistrato: ora è guerra tra i giustizialisti

La discesa in campo di Grasso e Ingroia scatena sgambetti e schizzi di fango. E persino Caselli attacca l'ex pupillo oggi leader del movimento arancione

Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia
Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia

Hai voglia a comporre schemi e disegnare frecce e seguire traiettorie. È da giorni che i quotidiani utilizzano come un navigatore vecchie rivalità e antiche contrapposizioni e, insomma, tutti gli appigli e gli spigoli possibili, per raccapezzarsi nel labirinto di guerra della magistratura italiana. Anzi, sia detto senza ironia, del partito dei giudici italiani. Con un manipolo di illustri magistrati ormai con un piede in Parlamento e la lingua a briglia sciolta. Ma è impresa vana, perché tutte le semplificazioni, tutte le spiegazioni, tutte le fenomenologie vengono cancellate dal magma impazzito che travolge tutto e tutti. Sì, siamo al tutti contro tutti. Ma proprio tutti. Perché se fino a ieri si poteva sostenere l'esistenza di una linea Violante-Grasso contrapposta all'altra Ingroia-Caselli, ora ci accorgiamo che anche questa divisione è sabbia al vento.
Succede dunque, in una sorta di big bang, che Ingroia, freschissimo di leadership arancione, attacchi con parole affilate l'ormai ex procuratore antimafia Piero Grasso, che a sorpresa s'è infilato la casacca del Pd. Dice dunque Ingroia, neoleader dell'arancia meccanica: «Piero Grasso divenne procuratore nazionale perché scelto da Berlusconi grazie a una legge ad hoc che escludeva Gian Carlo Caselli». Come se non bastasse, Ingroia carica ancora, come in un duello nella polvere del West: «Grasso è il collega che voleva dare un premio, una medaglia al governo Berlusconi per i suoi meriti nella lotta alla mafia». Insomma, fango più fango e stilettate per sbarrare la strada alla concorrenza nata in casa.
Si potrebbe proseguire a lungo con questa filastrocca velenosa, ma intanto esce allo scoperto Caselli che ringrazia Ingroia con parole gelide: «È un amico - è il bacio poco rassicurante che introduce l'intervista concessa alla Repubblica - ha ottenuto di recente un incarico importante dall'Onu in Guatemala. Penso che interromperlo sia un problema anche sul piano dell'immagine internazionale dell'Italia». Più chiaro di così. Altro che sodalizio. Ciascuno per la sua strada. Ma poi, già che c'è, Caselli regola i conti anche con Grasso: «È un fatto storico che ai tempi del concorso per nominare il successore di Vigna le regole vennero modificate in corso d'opera dall'allora maggioranza con il risultato di escludermi. Ed è un fatto che questo concorso lo vinse Grasso e che la legge che mi impedì di parteciparvi fu dichiarata incostituzionale». Non solo, Caselli, che ha buona memoria, non dimentica la ciliegina messa sulla torta in quel frangente da Grasso: «Grasso ha liquidato la vicenda con disinvoltura da bar dello sport». Dunque, la regola aurea è sempre quella. I pm dopo aver bacchettato la società tutta, ora si bacchettano fra di loro, rievocano pagine più o meno oscure, si contraddicono con metodo, si azzannano con ferocia. Luciano Violante, magistrato prestato alla politica e un tempo presunto burattinaio del partito delle toghe, dà il suo ok a Grasso e punta invece il dito contro Ingroia, sventolando il suo presunto «cedimento al protagonismo». Ingroia replica a sua volta provando a sporcare l'icona dell'ex presidente della Camera: «Violante la pensa su Grasso come il senatore Dell'Utri».
E così i guardiani della legalità, le lame scintillanti della legge si graffiano, si tirano i capelli e recuperano episodi sottovuoto, dissigillando giudizi rancorosi. Uno spettacolo avvilente. E tocca citare Ilda Boccassini a proposito del suo amico Giovanni Falcone: «Non c'è stato uomo in Italia - disse a Giuseppe D'Avanzo nel 2002 - che abbia accumulato più sconfitte di Giovanni». Mortificato perfino nella corsa alla superprocura antimafia da lui stesso inventata.

«Eppure - aggiungeva la Boccassini - le cattedrali e i convegni sono sempre affollati di amici che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattini o i burattinai di qualche indegna campagna di calunnie». Purtroppo, la lezione non è servita.

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