C aro direttore,
aldilà delle reazioni emotive dettate dalla più che legittima indignazione per la sentenza della Corte di Cassazione che la riguarda, riteniamo sia questo il momento di porsi qualche domanda tesa a favorire riflessioni.
Non si è capito come mai, durante i tre processi, non sia stata sollevata la questione di legittimità costituzionale in relazione alla norma in base alla quale lei è stato condannato. Il problema, infatti, non è tanto l'entità della condanna, quanto la stessa ragionevolezza della definizione del reato.
L'assurdità della previsione di affidamento ai servizi sociali, per favorire il reinserimento nella società, se è da apprezzare in molti casi, diventa scandalosamente se non tragicamente comica quando si pensi, e ancor peggio si applichi, a certe persone, salvo non la si veda come un comodo e triste escamotage: come non ricordare, per tutti, il caso dell'ex ministro Tanassi?
Non si può non prendere atto dell'ipocrisia ancora una volta mostrata dalla classe politica nel suo complesso partitico e istituzionale. Infatti tutti dicono che «bisogna fare qualcosa», ma non sono forse proprio queste le persone che debbono «fare qualcosa»? La strada più veloce sarebbe quella del decreto-legge, che immediatamente potrebbe cancellare la norma liberticida o, quanto meno, precludere una sua applicazione in tal senso. Ci sarebbe tutto il tempo, nelle more per la conversione in legge, per far sì che la norma possa essere migliorata. Ormai è diventata questa la maniera ordinaria di legiferare: ma, si deve notare, questo sarebbe a differenza di quanto troppo spesso avviene un vero caso straordinario di necessità e urgenza, come detta la Carta costituzionale. Non potrebbe il capo dello Stato che sempre più spesso interviene sul Parlamento e sul governo intervenire in questa occasione, con tutta l'autorevolezza che gli deriva dalla carica che ricopre, per sollecitare un tale intervento?
È quanto meno curioso il silenzio che i giuristi di fama, sempre pronti a dire la loro abbiano fin qui taciuto: nemmeno uno dei cento soliti firmatari di manifesti di varia natura si è fatto vivo.
Sarebbe bene che chi si è mantenuto ancora intellettualmente libero leggesse o rileggesse quel breve ma intenso e più che mai attuale scritto di Arturo Carlo Jemolo (un grande, anche se quasi dimenticato, Maestro) intitolato: «Problemi pratici di libertà», scritto dal quale tutti si avrebbe tanto da imparare.
Illustre direttore, non dia le dimissioni: in un momento come questo è più che mai necessario che si continui a sentire la sua voce. Si ricordi che il vero uomo libero è tale specialmente nel pensiero, che, nell'interesse generale, ha non soltanto il diritto, ma anche il dovere di manifestare e di far conoscere, ai suoi estimatori e no.
Voglia gradire, assieme alla nostra piena solidarietà, i nostri auguri per la migliore conclusione di questa incresciosa (e vergognosa per il Paese) situazione.
Prof. Giuseppe Contini
(emerito di diritto costituzionale nella Università di Cagliari)
Prof.
Prof. Felice Ancora (ordinario di diritto pubblico nella Università di Cagliari)
(docente di storia del diritto italiano nella Università di Sassari)
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