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Mancano venti voti Ma i dissidenti Pdl sarebbero solo sette

Il Pd a caccia dei voti delle colombe azzurre e dei grillini fuoriusciti. Nel mirino anche l'ex governatore Formigoni che si sfila: "Non è vero"

Mancano venti voti Ma i dissidenti Pdl sarebbero solo sette

Sette senatori, forse dieci. I numeri non sono certi perché, per dirla con Domenico Scilipoti, fino a mercoledì si lavorerà (e si ragionerà) anche di notte, «come quando preparavo gli esami all'università», ma se domani Enrico Letta chiederà la fiducia al Senato, è praticamente certo che il Pdl non sarà completamente unito sul «no». I nomi di chi non gradisce lo strappo, di chi vorrebbe dare ancora fiato al governo, continuano a circolare tra conferme, silenzi e smentite. Nella lista ieri c'era chi inseriva addirittura Roberto Formigoni. Una nuova formazione di area moderata è un'idea non fantasiosa, nonostante nessuno ne parli ufficialmente.
Al Senato l'astensione equivale al voto negativo, e anche se i «dissidenti» o colombe che dir si voglia scegliessero questa strada, la loro decisione sarebbe un chiaro rifiuto della linea del partito, indirettamente un appoggio a Letta. Per consentire la sopravvivenza del governo i fuori linea dovrebbero essere almeno sette. Se Sel e senatori a vita dovessero dare l'appoggio all'esecutivo, la maggioranza arriverebbe a quota 146, quindici punti sotto il fatidico 161, che consentirebbe la conferma della fiducia. In area grillina si parla di dieci possibili fuoriusciti, che sosterrebbero Letta. Un numero che potrebbe essere sovrastimato, ma che restringerebbe comunque la forbice dei voti mancanti. Se in sette o otto dal Pdl dovessero astenersi, o votare a favore, la partita si giocherà quindi davvero all'ultimo voto.
Lo scouting è già in corso da parte del Pd, che lavora ai fianchi degli ex grillini e di quelli incerti. Nel gruppetto dei ribelli del Pdl invece i lavori sono ancora in alto mare. In queste ore si valuteranno il discorso di Berlusconi e le risposte di Letta. Non bisogna dimenticare che è senatore il ministro più polemico con la decisione dello strappo istituzionale, Gaetano Quagliariello. Formigoni chiarisce subito al Giornale: «Non fidatevi di Dagospia». È la sua risposta all'indiscrezione che lo vorrebbe fuori linea in caso di voto di fiducia al governo Letta. Un modo per dire: non è vero. Formigoni esce però dalla sala della Regina senza polemica ma senza entusiasmo: «Discuteremo in questi giorni, ci rivedremo ancora». Difficile da leggere la posizione di Scilipoti. La sua interpretazione del discorso di Berlusconi di ieri è fin troppo ottimista: «Non si è parlato di voto, né di fiducia. Berlusconi ha detto che vuole un governo forte». Se si andasse al voto in aula al Senato il 2 ottobre? «Mancano ancora molte ore, magari Pd e Pdl trovano un accordo...». Ma se dovesse trovarsi davanti al voto, sì o no? «Non stiamo giocando, la discussione è in corso...».
Una voce molto polemica in Senato è quella dell'ex ministro del Welfare Maurizio Sacconi: «Moltissimi elettori e militanti del Pdl non condividono la linea estremista», la sua valutazione. Il Pdl non deve isolarsi, ma collegarsi alle forze politiche europee e internazionali di analoga ispirazione». Nell'elenco dei ribelli viene inserito anche il catanese Salvo Torrisi, che in una recente intervista all'Unità ragionava: «Se cade il governo cade l'Italia». Se i campani sono tutti uniti, come garantisce l'ex ministro Francesco Nitto Palma, l'incognita arriva dalla Sicilia, anzi, da Catania.
Pippo Pagano è ugualmente indicato come un possibile sostenitore del governo Letta. Si trova in missione in Canada e sinora non ha smentito né confermato. Un'altra colomba viene identificata in Vincenzo Gibiino, che però su Facebook sembra smarcarsi dall'etichetta di ribelle: «Siamo con Silvio per il Paese per la gente.

Il presidente ha bisogno di tutti noi», ha scritto.

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