Volgare ed efficace come sempre, Umberto Bossi fotografa una Lega Nord in crisi: «Chi ha detto che tutto va bene è un leccaculo. Ma tutto è ancora rimediabile». La prima Pontida senza il Senatùr leader è un raduno con fischi e proteste mai viste. Il Carroccio non è più il monolite compattato dal segretario-fondatore carismatico e garante. È un partito con una maggioranza, senza dubbio forte, e una minoranza guidata dal presidente federale. A Roberto Maroni, che un anno fa lo spodestò, Bossi rinfaccia due errori: autoritarismo e localismo.
Le contestazioni a Pontida sono un fatto senza precedenti. Insulti e qualche spintone sono volati quando è comparso un manifesto con Maroni raffigurato come Pinocchio. I militanti veneti hanno contestato apertamente Flavio Tosi, il segretario regionale che ha commissariato tre sedi provinciali su otto. «Fuori fuori», gli hanno urlato mentre parlava.
Doveva essere la Pontida di Bobo Maroni, la festa per il nuovo governatore lombardo, invece il «sacro pratone» bergamasco ha fatto rinascere l'Umberto dato troppo presto per pensionato. Bossi e Maroni salutano a mani strette, si abbracciano, il Senatùr garantisce: «Non ho fatto la Lega per romperla, la miglioreremo». Nessuna scissione, dunque, e tantomeno un partito alternativo al centralismo padano di Maroni. Ma il vecchio leader, che impugna il microfono con il dito medio alzato, ha chiarito che così non va.
«Ogni anno la base dovrà dare un giudizio sugli eletti e mandarli via se non vanno bene», ha detto Bossi. «Non possiamo dipendere solo dal consiglio federale. La base deve contare di più e conterà. Ai fratelli veneti dico che ormai tutto è commissariato ed è arrivato il momento che si facciano i congressi». Solito attacco ai giornalisti: «La Lega non si sta dividendo, come scrivono i lecchini del regime». Ma non basta per coprire le magagne interne: «A me spiace che la base venga trattata un po' male perché non ha strumenti per difendersi». Poi l'altro affondo: «Non la penso come Maroni quando dice che ce ne stiamo al nord e ce ne freghiamo di Roma: noi dobbiamo combattere su tutti i fronti, anche a Roma». Infine ha abbracciato Maroni imponendo ai militanti: «Niente insulti e niente fischi: datevi la mano, fratelli padani».
La replica di Bobo è centrata tutta sulla macroregione e le tasse sul territorio, il progetto della nuova «Lega 2.0». «Hanno fatto il decreto per dare i soldi a quei comuni del sud che non li hanno. I nostri comuni i soldi li hanno. Ecco il grande inganno del governo che deve andare subito a casa - ha protestato -. Se serve faremo guerra a Roma e al governo». Nella campagna elettorale per la Lombardia aveva puntato sul 75 per cento del prelievo fiscale trattenuto sul territorio e la modifica del patto di stabilità: «Tratteremo - ha spiegato - fino al 31 dicembre abbiamo tempo, altrimenti ci impegniamo a superare autonomamente i vincoli imposti da Roma».
I problemi interni al partito sono una bufala dei «giornalisti di regime»: «Siamo qui in tanti, abbiamo smentito i gufi che volevano la Lega finita e divisa: andate a quel paese. Siamo qui per testimoniare la nostra unità, il nostro grande progetto di macroregione, per realizzare il nostro grande sogno, la Padania».
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