diForse per renderci conto del vizio peggiore di questo Paese, cioè l'ipocrisia, bisogna partire dal titolo dell'editoriale che ieri il Corriere della Sera ha dedicato alla condanna di Silvio Berlusconi: «Siate seri, tutti». Due colonne di piombo di stampo quirinalizio in cui si spiegava che bisognava tracciare una linea sulla sabbia, prendere atto che il Cavaliere era fuori dalla politica, andare avanti con l'attuale governo e, piccola concessione, riformare la giustizia. Naturalmente in quelle righe si tralasciava il particolare, neppure tanto piccolo, che proprio il Colle aveva accettato quel singolare compromesso a ribasso che è alla base dell'ennesimo tentativo di riformare la nostra Carta: i padri costituenti, o presunti tali, possono, infatti, parlare di tutto meno che di giustizia per non suscitare le ire delle organizzazioni dei magistrati. Così è purtroppo. Detto questo, l'editorialista del Corriere con la retorica che è propria al nostro apogeo istituzionale, spiegava che chi non fosse d'accordo con questa logica non sarebbe serio, o meglio, secondo un termine in voga, non sarebbe responsabile. Dato che sia l'inquilino del Colle, sia l'editorialista del Corriere sono di Napoli, una posizione del genere sembra echeggiare il proverbio da cui discende tutta la mentalità partenopea: «Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto... chi ha dato, ha dato, ha dato... scurdàmmoce 'o passato...».
Appunto un fulgido esempio di quel vizio nazionale che è l'ipocrisia. Si archivia il Cavaliere e si volta pagina. In un Paese come il nostro in cui la magistratura nel volgere di qualche mese ha archiviato un'intera classe dirigente che ha governato per cinquant'anni - quella della prima Repubblica - e ha risparmiato quella, non meno colpevole, che era all'opposizione, un simile atteggiamento può apparire normale. Solo che non sempre la Storia si ripete, specie se tra quella vicenda drammatica e l'attuale, non meno drammatica, c'è una differenza fondamentale: il consenso. Mentre quel gruppo dirigente non aveva più seguito, il Cav continua a essere un punto di riferimento per più di un terzo del Paese. Questa esperienza politica non si può cancellare con un tratto di penna. Non si può mandare in carcere il leader che ha caratterizzato vent'anni di storia, criminalizzare il primo partito italiano e rendere orfano di rappresentanza politica un terzo del Paese, con l'idea che domani è un altro giorno. Chi immagina un epilogo di questo tipo, sbaglia di grosso.
Ecco perché i richiami alla responsabilità, e alla consapevolezza del momento, debbono riguardare l'intera classe dirigente: o si è responsabili tutti, o non lo è nessuno. Richiami che se fossero stati fatti prima, e con maggiore decisione, anche dalle più alte cariche istituzionali avrebbero evitato di gettare il Paese in simili frangenti. Purtroppo così non è stato, magari per colpa di quella miscela di ipocrisia e di pavidità che è tratto distintivo del nostro establishment. Ma il problema resta, magari più complesso di ieri, come resta l'esigenza di porvi una soluzione con un gesto straordinario. Partendo da un presupposto: la questione è squisitamente politica. Una vicenda giudiziaria durata vent'anni, costellata da cinquanta processi, terminata con una condanna per frode fiscale a un personaggio che ha pagato miliardi al fisco, più che un profilo criminale appare come una persecuzione nei confronti di chi si è sempre battuto per far uscire il Paese dall'immobilismo che l'ha portato sull'orlo del precipizio. Berlusconi paga per aver tentato di imporre una rivoluzione liberale che avrebbe spazzato via i privilegi di corporazioni, lobbies, ordini, burocrazie, sindacati. Per aver messo in discussione il primato di una cultura di sinistra che a dispetto della storia vuole continuare a esercitare la sua egemonia. Per aver messo in pericolo i punti di riferimento di un establishment che difende lo status quo. Per non aver accettato un ruolo di secondo piano a cui anche l'Europa vuole relegare l'Italia. Insomma, non un delinquente, ma un leader che paga per la sua politica. Ecco perché o c'è una presa di coscienza collettiva, o almeno delle forze più responsabili. Che risolva il vulnus democratico inferto da una parte della magistratura e che metta l'attuale governo nelle condizioni di avere un programma più ambizioso (l'attuale è estremamente modesto rispetto alle dimensioni della crisi) sulla base di una solidarietà vera e consapevole tra le forze che compongono l'attuale maggioranza.
*Senatore Pdl
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.