Per descrivere le sfilate di Armani e Cavalli si comincia dalla fine. Armani manda in passerella unelegante signora con una luccicante tuta-palazzo mutuata dallidea dello smoking, mentre Cavalli fa sfilare Naomi Campbell con un pazzesco vestito in micro paillette di pelle e cristalli totalmente scollato sulla schiena. La prima indossa stringate maschili a tacco basso che non tolgono enfasi alla sua mise da sera ma certo richiedono una statura importante oppure una forte personalità. Invece laltra procede con il suo inimitabile passo da pantera su stiletti altissimi che la rendono ancora più sexy però non mascherano i primi cedimenti su quel corpo un tempo perfetto.
Tra queste due immagini femminili comunque meravigliose e rappresentative dei diversi messaggi lanciati dagli stilisti, cè un fenomeno chiamato made in Italy di cui forse bisognerebbe avere più rispetto. «Se ci dessimo una mano tra di noi sarebbe meglio» dice Armani delle donne-simbolo di questo nostro Paese tipo Emma Marcegaglia che a volte nelle occasioni pubbliche compaiono vestite con griffe straniere come Chanel. «Lo stesso vale per le automobili - puntualizza Re Giorgio - chi è sotto i riflettori della stampa internazionale deve per forza scegliere un marchio italiano». Poi però il più famoso dei nostri stilisti lancia una frecciata ai colleghi parlando di collezioni estive proposte per linverno e di donne caricate come carretti di frutta e verdura. Cavalli invece dice che gli è piaciuta la sfilata di Dolce & Gabbana. «Non mi sono simpatici - dichiara - ma quella è moda con la M maiuscola. Comunque è desolante il markettificio visto alla recente notte degli Oscar. La maison Cavalli non è abbastanza ricca per partecipare alla guerriglia del red carpet, ma appena libere da obblighi contrattuali le star corrono a mettersi i nostri vestiti e questo la dice lunga». A questo punto lirrefrenabile toscanaccio spara una bordata contro lArmani Hotel di Milano che definisce simile a un ospedale psichiatrico. Invece il più famoso dei nostri stilisti si dice sicuro di vendere il 99 per cento dei modelli presentati ieri mentre su quelli che han fatto sfilare le altre griffe non ci giurerebbe.
Dispiace dirlo, ma i signori della moda dovrebbero essere più solidali tra loro rappresentando un settore che nel nostro Paese dà lavoro a circa 90 mila persone. Il signor Armani da solo fattura sei miliardi di euro e vedendo la collezione del prossimo inverno si capisce perché: modelli molto portabili, normali e al tempo stesso speciali, qualcosa che lui stesso definisce easy chic. Al di là del cappello a larghe tese proposto sempre per puntualizzare una certa androginia di fondo, cè ad esempio un uso sublime di tinte come fucsia, arancio e rosso tibetano sul nero. «Non è uno scherzo far uscire un colore dal nero» spiega evocando lassoluta preziosità dei suoi avvolgenti cappotti matelassè coloratissimi sul total black di una divina redingote dallorlo danzante sopra ai sottili bermuda con la piega stirata a lama, i dettagli studiati in tutti gli accessori. Cè molto di più: dalle bluse di seta con il colletto a forma di foglia alle mitiche giacche che non sono più un simbolo di autorevolezza e potere al femminile, ma solo un mezzo per stare comode con vera eleganza. Il signor Cavalli è prima artista e poi stilista. Con le sue inimitabili lavorazioni sulla materia riesce a creare un bestiario immaginario in cui il visone diventa pitone o coccodrillo, il pitone diventa tigre, il coccodrillo sembra una piuma e il cavallino un serpente. Tutto questo più le 39 mila rose che in passerella riproducono un motivo animalier dava immediatamente lidea della metamorfosi della donna in animale e viceversa: un concetto intimamente legato alla sensualità. Peccato le forme, un po troppo elaborate per una comune mortale di razza umana. Tra questi due titani i gemelli canadesi Dean e Dan Caten se la cavano egregiamente con una deliziosa collezione ispirata al cosiddetto «prom», il ballo di fine anno in un college doltreoceano.
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