Il matrimonio si ridurrà a un contratto qualunque

di Luca Doninelli

M atrimoni gay? No, grazie.
E a dirlo è uno come me, che ai gay deve molto, moltissimo. Allievo di Giovanni Testori, dopo la morte di mio padre posso dire di avere avuto proprio in lui un secondo padre. Il grande scrittore seppe esercitare la sua paternità spirituale su me e su molti altri giovani con grande magnanimità.
Dopo di lui ho incontrato tanti amici sulla mia strada, tanti straordinari amici gay, alcuni dei quali sono parte integrante della storia della mia vita. Persone non solo brillanti fino alla genialità, ma anche profondamente serie. Due di questi miei amici si sono amati per decenni di un amore forse dapprima folle, trasgressivo, ma poi attento, tenero, soccorrevole: un amore che ha attraversato molti momenti drammatici.
Ciò nonostante, nulla è più lontano dall'idea che mi sono fatto di queste persone di quella di matrimonio. Sono favorevole a un riconoscimento e a una regolamentazione giuridica delle unioni gay, perché una vita è una vita per tutti, a prescindere dalla propensione sessuale. Ma la propensione sessuale non è esattamente una scelta sessuale. E «parità» non significa svuotare di significato le parole.
È vero, «matrimonio» e «patrimonio» sono parole un po' vecchie, fondate sull'idea che mestiere degli uomini è fare i soldi, mentre quello delle donne è fare figli.
Ma c'è anche un'altra idea: quella del tramandare, della tradizione. E come i patrimoni si trasmettono attraverso le generazioni, così i matrimoni sono l'inizio di una catena di discendenze, di un albero genealogico, che lega ogni uomo a volti, luoghi e tempi: le tre componenti di quel cemento che si chiama identità personale.
È vero che viviamo in un tempo di dissipazione dei patrimoni, e che tv e giornali ci insegnano quanti orrori possono nascere dentro un matrimonio. Ma da qui a dissipare il senso profondo di una parola ce ne vuole. Dal matrimonio nasce la famiglia, e la famiglia è un'esperienza unica, un bene culturale insostituibile, anche se l'insipienza umana la può trasformare in un inferno.
Questo non significa che anche all'interno di una comunità diversa si possa respirare un'aria di famiglia talora meravigliosa. Ma si tratta di fiori unici, che sono belli per la sorpresa che generano. La vita è capace di generare padri e madri da qualunque esperienza. Senza la sorpresa di ciò che è unico, non c'è bellezza, e senza bellezza non c'è vita. Dovremmo imparare a considerare speciale qualsiasi persona, perché così è.
Ma proprio per questo trovo che imporre lo statuto di «matrimonio» a ciò che è, semplicemente, un'altra cosa, sia un atto di violenza inutile.
Il male non sono certo le unioni tra gay. Il male è la riduzione del matrimonio a contratto come tutti gli altri, che perciò può essere esteso indifferentemente ad altri tipi di unioni. Il male è questo indefinito, progressivo, impoverimento dell'idea di uomo a numero. Il male è la burocratizzazione di tutto, che trasforma la bellezza imprevedibile della vita in un protocollo.
Per questo io sono per la tutela delle unioni gay, ma prima di questo sono per la tutela a oltranza del matrimonio e della famiglia così come la nostra civiltà li ha formulati, perché li ritengo un elemento fondamentale - e naturale - per la formazione della personalità umana. Come sostiene il cristianesimo nella sua inesauribile difesa della ragione umana.


Il matrimonio è un bene per tutti, con il quale tutte le personalità sorte secondo altre vie possano proficuamente confrontarsi.
Il resto (compresa questa insistenza sull'espressione «matrimonio gay») è, secondo me, pura demagogia.

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