«Non sarà mica così malizioso da pensare che il presidente del Consiglio tiri fuori proprio ora il conflitto di interessi per mettere sabbia negli ingranaggi delle riforme, no?». Con una (maliziosa) domanda retorica, Matteo Renzi fa capire come la pensa sul coniglio improvvisamente estratto dal cilindro di Enrico Letta. In ogni caso, taglia corto il leader del Pd, «il conflitto di interessi non sta nell'accordo sulle riforme istituzionali».
Nell'intervista televisiva con Nicola Porro a Virus, Renzi si mostra ottimista sulla tenuta dell'intesa su legge elettorale, fine del bicameralismo e ritocchi costituzionali, anche se sa che la battaglia è ancora dura: «Mi batto contro i professionisti della melina e della palude», dice, e che quei professionisti oggi risiedano dalle parti di Palazzo Chigi e dintorni i suoi lo ammettono senza mezzi termini. «Anche se - dice uno dei renziani della prima ora - la mossa di Letta sul conflitto di interessi rivela anche il suo smarrimento: sta con le spalle al muro, con Renzi che fa le riforme sopra la sua testa e gli detta l'agenda di governo. E soprattutto, senza più il Lord Protettore al Quirinale».
Già, perché il presidente della Repubblica ha esplicitamente benedetto l'accelerazione renziana sulle riforme, affermando - nel messaggio inviato ieri al congresso di Sel - che esse vanno fatte «al più presto» per riuscire a rendere «il nostro ordinamento più idoneo a fronteggiare le nuove esigenze poste dalla crisi». Solo così, avverte Napolitano «sarà possibile sperare in un progressivo riavvicinamento alla politica da parte dei cittadini». Concetti analoghi a quelli usati da Renzi: l'accordo sulle riforme, assicura, «durerà», perché a rischio «c'è la faccia, la credibilità e la dignità della politica». Il segretario del Pd manda un messaggio chiaro ai parlamentari, anche del suo partito: «Io più che fare l'accordo non posso. Se qualcuno pensa con il voto segreto di sgambettarlo non è che fanno un danno a me, fanno un danno a loro, perché la legislatura sostanzialmente fallisce». E al governo Letta dà l'ennesimo scrollone: «Basta chiacchiere, è ora di passare dalle parole ai fatti». E ricorda, en passant, che «votare col semestre europeo è tecnicamente possibile», anche se «non opportuno».
In realtà, i mal di pancia interni al Pd non lo preoccupano più di tanto. Ieri la sua plenipotenziaria sulle riforme, Maria Elena Boschi, ha incontrato Denis Verdini per fargli ufficializzare il «no» di Forza Italia alle preferenze. Alfano continua ad annunciare emendamenti in materia, ma in privato ha spiegato ai suoi che ha già ceduto le armi. E Renzi non risparmia ceffoni a lui e agli altri partitini: «Sono i piccoli partiti che stanno lì a dire: o si fa come diciamo noi o le cose non passano ad aver rovinato l'Italia», dice a Virus. Ricordando che «la soglia dell'8% è normale in Europa, il potere di veto dei partitini va spezzato». Quanto ai parlamentari Pd, «voglio vedere quanti a voto segreto le avallerebbero, ben sapendo che non ne prenderebbero nessuna», nota maligno un renziano. Renzi assicura che si tratta di una battaglia «pretestuosa», e anche Franceschini ieri ha liquidato l'apertura del premier a «modifiche sulle liste bloccate», spiegando che «sarebbe un errore enorme tornare alle preferenze».
La legge elettorale è incardinata, ieri in commissione è stato votato il testo base e lunedì dovranno essere formalizzati gli emendamenti. Forza Italia chiede che il disegno della mappa dei collegi sia affidato al Parlamento e non delegato al governo (ovvero ad Alfano), ma il Pd è certo che la mediazione sia possibile.
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