Matteo prepara il ventennio e va sottobraccio alla Merkel

Roma Un ventennio magari no, ma minimo minimo un decennio: è questo il tempo che si dà Matteo Renzi. È lui stesso a farlo sapere, nell'intervista che ieri ha rilasciato ai maggiori quotidiani europei (pubblicata in Italia da La Stampa): «Tra dieci anni mi piacerebbe lasciare anche alla mia terza figlia Ester, che allora sarà maggiorenne, un paese che sia guida dell'Europa, leader dell'innovazione e capace di attrarre talenti e non di cacciarli». D'altronde, spiega il premier, in capo a dieci anni anche il suo «governo di quarantenni» finirà «rottamato». E questo, aggiunge, «è una bella cosa», perché la politica è un'interessante esperienza «ma non la fai per sempre». Sarà una coincidenza, ma la stagione di governo di Tony Blair, fondamentale icona del pantheon renziano, durò esattamente dieci anni, dal 1997 al 2007. Passando per tre vittorie consecutive.
Nell'intervista, in cui insiste sulla fretta di fare le riforme in Italia ma anche di «cambiare» l'Europa e si fa fotografare in jeans e maniche di camicia, in sapiente contrappunto con i broccati dorati di Palazzo Chigi, Renzi non parla dello strumento con cui intende perseguire il suo obiettivo di durata: il governo, certo, ma anche il partito. Che lui stesso, riprendendo l'analisi di un grande vecchio ex Pci come Reichlin, ha definito il «partito della Nazione». Nome ingombrante e ambizioso, che ha spaventato non poco i suoi alleati moderati: «Renzi vuol assorbire nel Pd un centro, una destra e una sinistra», lasciando all'Ncd zero spazio vitale, lamenta Alfano appellandosi a Berlusconi.
Il fatto è che il premier (e il modello dell'Italicum ne è la riprova) pensa che la confusa era del “bipolarismo” all'italiana sia tramontata, e sia tempo di arrivare al bipartitismo. Renzi non ha alcuna intenzione di costruire scombiccherate coalizioni alla Prodi quando si andrà a votare: chi vuol stare con il centrosinistra di governo, si accomodi nel Pd. Gli emissari renziani lo stanno ripetendo a tutti: persino Guido Crosetto, di FdI, si è sentito fare questo discorso da un dirigente Pd: «Ma tu che sei un vero liberale, che ci stai a fare con quei fascistoni? Perché non vieni con noi? Con Renzi il Pd sta diventando una cosa completamente diversa dal passato, basta la rottura con la Cgil a dimostrarlo». Crosetto si è fatto una risata, ma molti altri sono tentati dall'afferrare al volo l'occasione: mezza Sel, tutta Scelta civica, persino un pezzo di Ncd. Anche perché, ragiona un renziano, «è chiaro a tutti che se il Pd ha superato il 40% alle Europee, dove la frammentazione è incentivata, che cosa può succedere alle politiche, quando ci sarà il nome di Renzi sulla scheda?».
Lui, il vincitore, mostra di non sottovalutare affatto il risultato: «È la prima volta dal 1958 che un partito prende più del 40%: 56 anni fa. Più forte di così gli italiani non potevano parlare».

Poi, da amante dell'azzardo, non ha timore di romper l'ultimo tabù e mostrarsi sottobraccio alla Merkel: «Ho un ottimo rapporto con lei, e trovo volgare e inelegante il modo in cui altri hanno cercato di prendere voti parlando male della Germania. Per noi è un modello, non un nemico».

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