Che animale è Matteo Renzi e che roba è il renzismo? Vorrei tentare un'analisi culturale del nostro presente, il tempo di Renzi, Grillo e del neoberlusconismo. Sullo sfondo ci sono le tracce superstiti della sinistra, della destra e del centro d'ispirazione democristiana, più i relitti dell'esperienza tecnocratica al governo.
Per cominciare, che armi usano i tre principali condottieri per la loro battaglia? Renzi usa il tweet, Grillo il blog, Berlusconi la tv. O per dir meglio, tutti e tre sono leader d'investitura televisiva, il loro teatro resta la tv; ma la pistola di Renzi è l'iPhone, di Grillo il pc, di Berlusconi il televisore. Due leader sparano con la scrittura e uno col video, anche se l'oralità resta la forma principale dei loro messaggi. Nessuno dei tre può definirsi di destra o di sinistra e nemmeno di centro. Né sono estranei al linguaggio, alla storia, alle ideologie. Non sono portatori di una cultura politica e di una tradizione ma del loro collasso, vogliono rappresentare la società allo stato presente, non si collegano a un passato o a un modello ideale. La loro scelta è bipolare, ma nel caso di Grillo il polo antagonista è il Sistema con tutti i poteri e i partiti. È improprio parlare di renzismo, finora non è un contenuto ma uno stile, un metodo sartoriale, su misura per lui. Loquacità, rapidità anche nel rimangiarsi gli impegni - simulazione d'operosità con la camicia bianca rimboccata e il moto perpetuo.
Oltre le differenze, i tre capi credono in una democrazia diretta, plebiscitaria, centrata sulla leadership e diffidano del ruolo del partito, della rappresentanza politica e istituzionale, delle élites e delle culture politiche. E in questo agiscono su un terreno tradizionale «di destra». Il feticcio di Renzi è la velocità, dove si concentrano l'energia e il giovanilismo. Il totem di Grillo è la Rete, mandante dell'agire politico e fonte della sua legittimazione. Il mantra di Berlusconi è l'identificazione totale tra capo e popolo, il bene dell'uno coincide col bene dell'altro. Il punto comune è il superamento della democrazia parlamentare.
Quali sono gli antecedenti di Renzi? Nella sinistra italiana sono scarsi, c'è Craxi per il decisionismo e la modernizzazione e c'è Veltroni per il kennedismo emozionale e la liquidazione del vecchio partito. Ma di Craxi gli è estraneo il legame con la storia del socialismo e la passione risorgimentale; di Veltroni gli è estraneo il moralismo buonista e il legame col partito. Diciamo che del primo gli mancano Nenni e Garibaldi; del secondo, Luther King e Berlinguer. Ma il lievito del renzismo e il suo modello implicito è Berlusconi, di cui si presenta come cura omeopatica o imitazione tardiva. Il renzismo è la traduzione del berlusconismo nel presente coi sottotitoli per i non berlusconiani. Rappresenta agli occhi del Paese la fine dell'ossessione berlusconiana e il fervore dello Stato nascente. Fiumi di parole per ripetere «ora fatti e non parole». È troppo presto per giudicarlo. Sarebbe tuttavia un errore attribuire alla tachicardia politica di Renzi il tracollo della cultura politica; quando lui è arrivato, le culture politiche erano già state disfatte. Il suo pragmatismo è la versione cabrio e dinamica del vecchio pragmatismo democristiano, allergico a ogni petizione di principio. La vera differenza è che la pratica democristiana era fondata sulla mediazione, la concertazione e la cooptazione, quella di Renzi si annuncia decisionista.
Beppe Grillo viene stigmatizzato con le categorie della politica in versione democratico-parlamentare e invece andrebbe giudicato con le categorie della guerra in versione new age. Le espulsioni per dissenso sono inconcepibili in un movimento liberale-democratico ma sono coerenti in un organico militante- militare, seppure all'insegna della rete. In trincea il dissenso muta in diserzione, insubordinazione, disfattismo e alto tradimento. E va passato per le armi. I precedenti del grillismo sono vaghi: l'Uomo qualunque, la destra di protesta, le lotte radicali contro i partiti, il secessionismo della Lega applicato non a un territorio ma al web (la Padania di Grillo si chiama Rete), la rivolta della sinistra estrema fino ai No Tav. Ma sono generici richiami.
A proposito di Berlusconi ho parlato di neoberlusconismo per due ragioni. La prima è l'interdizione giudiziaria che pesa sulla sua leadership e sancisce un'evidente discontinuità col passato. Ma la differenza dal berlusconismo precedente è soprattutto un'altra: Berlusconi si presentò sulla scena come il collante di tre soggetti politici: la destra, la Lega, gli eredi moderati del pentapartito, a partire dagli ex Dc. La forza del berlusconismo fu di coalizzare queste forze tra loro incompatibili, col leader non-politico nel ruolo di sintesi e cerniera. Il neoberlusconismo invece chiede la maggioranza assoluta per il leader e il suo partito, eliminando o assorbendo i minori, con la promessa di una riforma costituzionale che decreti il passaggio al presidenzialismo.
Dietro i tre leader che polarizzano la politica italiana restano come balene spiaggiate le culture politiche della sinistra, della destra e del centro di provenienza democristiana, insieme ai loro agenti politici. Cercano di ritagliarsi un ruolo in relazione all'Europa e in opposizione alla riduzione della politica al partito personale, che assai incautamente molti ritennero un'epoca finita con la caduta del governo Berlusconi. Ma il loro spazio è schiacciato fra le tre leadership personali e il predominio della tecnocrazia. A tale proposito è fallito con Monti il progetto che la tecno-finanza possa assumere direttamente il comando delle istituzioni; la sua supremazia è tornata in ombra, indiretta, delegata e criptata. Del resto alla tecnica si addice l'impersonalità del comando che è acefalo e multinazionale, l'automatismo dei processi e non la visibilità politica al vaglio del giudizio popolare e nazionale.
Dopo il naufragio simultaneo della politica e dell'antipolitica resta da vedere se la Trinità di leader sia destinata a liquidare definitivamente le culture politiche. Il problema riguarda in particolare Renzi, perché Grillo e Berlusconi sono fondatori dei loro movimenti, mentre Matteo si è insediato in un partito preesistente, di impianto novecentesco, fortemente allergico al leader solitario.
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