Il Meeting che legge il futuro adesso non sa chi sostenere

Certo, l'uomo ha bisogno d'infinito, si nutre d'infinito e persino Leopardi che era un ateo perplesso, banchettava con l'infinito. Ma non è chiaro perché il motto del Meeting di Rimini che si apre oggi consista nella suggestiva frase di don Giussani secondo cui «La natura dell'uomo è il rapporto con l'infinito». Non si capisce perché questo Meeting (...)

(...) che è arrivato all'età di Gesù Cristo, nasconda la sua ampia natura squisitamente politica dietro tenui pretesti filosofici. Per esempio: oggi arriva Mario Monti e sarà sicuramente la superstar dell'apertura. Parlerà d'infinito? Improbabile. Parlerà piuttosto di guerra all'evasione, di spread, di Ilva, ma il tema dell'infinito metafisico ci sembra una foglia di fico per coprire il vero obiettivo del Meeting: riportare la politica al centro del campo e dare anche il calcio d'inizio. Monti, informano le soddisfatte cronache, non avrà a disposizione una stanza al Grand Hotel per cambiarsi la camicia e schiacciare un pisolino: sobrietà e risparmio sono il nuovo logo della politica e guai a chi sgarra. Ecco un tema politico. Ma di quale politica? Anche questo è il punto.
A Rimini abbiamo visto da sempre lo schieramento della prima, della seconda ed ora della terza Repubblica. Ricordiamo passerelle da rotocalco: accanto a un Formigoni oggi appannato dai suoi guai, s'inchinavano davanti al pubblico ciellino e ai fotografi tutti gli uomini del re, anzi della Repubblica. Ecco Andreotti, ecco Sbardella - do you remember Sbardella? - ed ecco Martelli, Giuliano Amato, Stefania Craxi che litiga con Macaluso su Berlinguer, ecco persino Napolitano per riconoscere l'errore dell'estrema durezza persecutoria contro Bettino Craxi. Una galleria che si allunga a telescopio. Poi Berlusconi, con cui i dirigenti di Comunione e liberazione flirtarono a corrente alternata mentre si chiedevano: sarà lui o non sarà lui, e che ne sappiamo noi? E poi ecco apparire e svanire Bersani, Enrico Letta e tutto l'apparato della sinistra di origine cattolica e di origine comunista, trattato e riverito come una massa ad alta densità oracolare.
Il Meeting resta un evento astuto: qui accade quel che ancora non è accaduto. Qui vedrete il vostro futuro. Così, almeno nel passato. Ma ora? Finora l'appuntamento nella città di Fellini era con il pifferaio magico, l'uomo nuovo di turno, il nuovo che avanza ma anche il vecchio che riemerge: cupi zombie e teneri neonati sempre di scena.
Poi, il fatto nuovo: a Palazzo Chigi un vero pifferaio magico. Uno che è contestato e amato, odiato e applaudito, detestato e rispettato. Da che parte staremo noi del Meeting. Ah, saperlo, saperlo... mormorava il comico Pazzaglia. Il Meeting non sa da che parte schierarsi e sceglie la linea della prudenza. Del resto prudenza e sobrietà in politica sono sinonimi. E dunque oggi vedremo certamente un Monti in gran forma, e l'apertura dei telegiornali è assicurata. Ma, ci par di capire, Monti non è per i discendenti di don Giussani un pifferaio da seguire. C'è, sì, curiosità, c'è voglia di capire ma anche una larvata diffidenza. Probabilmente l'appannamento di Formigoni gioca un ruolo in questo distacco ancora vago: in fondo Monti è un cattolico fervente, anche se ci sembra che il suo cattolicesimo sia contaminato da un sospetto di giansenismo, se non di calvinismo en cachette. Mentre invece nel suo Dna il Meeting è un soggetto cattolico romano guidato da un papa tedesco che è stato, anche lui nel passato, una sua star.
Uno dei motti più azzeccati del Meeting è: «Un luogo dove la storia passa in anticipo». Ecco, questo è vero. E se non si tratta proprio della storia, si tratta almeno della politica politicante, che è una bestia di cui non si può fare mai a meno: con chi governare? Chi sono gli uomini nuovi? Quali le forze in campo? Dove le alleanze possibili? Quando l'inevitabile rottura? Tutte domande che ricordano il primo Maurizio Costanzo, quello della televisione in bianco e nero, che chiedeva ai politici, a cominciare da Andreotti, che cosa c'è «dietro l'angolo». Allora, negli anni Settanta e primi Ottanta sembrava sempre che l'uomo nero, il complotto vincente, l'armata delle tenebre, fossero dietro l'angolo e pronti ad arrivare facendo un grande «bù!» che avrebbe fatto cadere in frantumi la casetta della democrazia come quella dei tre porcellini. Poi si è visto che dietro l'angolo ci sono in genere improvvisazione e cialtroneria. E il Meeting di Rimini è sempre servito per prevedere in tempo e correre ai ripari. Alla peggio, correre in soccorso del vincitore per guidarlo e inglobarlo, secondo una tattica che appartiene più alla Compagnia di Gesù che ai discendenti di don Giussani.
Oggi un tale ruolo, un tale obiettivo, sembra fuori tempo. Capire può essere utile, ma correre ai ripari e correggere ci sembra impossibile. Oggi la crisi passa sopra le teste riminesi, alta come un'aurora boreale: le banche, la Bce, i mercati, gli evasori fiscali, il fondo salva Stati, la crisi dell'Euro, le suppliche di Obama affinché l'Europa non crolli portandosi dietro gli Stati Uniti il cui debito è posseduto dalla Cina, sono tutti oggetti misteriosi per il Meeting, degni di riflessione, ma non a portata di dialogo. D'altra parte è vero, Monti una certa idea dell'Italia ce l'ha e forse la dirà.

Ma è un'idea che ha il suo baricentro molto oltre il Rubicone (che non passa molto lontano da Rimini) e cioè nell'Europa neo-carolingia da cui Comunione e liberazione ci sembra irrimediabilmente tagliata fuori, uno spettatore e non più un protagonista.

di Paolo Guzzanti

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