RomaNon saranno un milione di posti di lavoro, ma «un milione di visitatori al Maxxi» sono un obiettivo da slogan. Mentre fuori dal portone le cantavano «Dal partito rottamata, al museo riciclata», Giovanna Melandri, confermata presidentessa, tracciava le prime linee della sua nuova vita da manager artistico alla guida della fondazione di via Reni, reduce dal commissariamento. Nessun passo indietro del ministro Lorenzo Ornaghi, e nemmeno della Melandri, nonostante le tante perplessità sulla nomina, anche all'interno del suo stesso partito, il Pd. Oltre le mura del dicastero dei Beni culturali continuano a imperversare critiche, polemiche, interrogazioni parlamentari e ironie, come quelle dei ragazzi della Giovane Italia, che nel pomeriggio hanno apparecchiato un bel teatrino di cartelli davanti alla sede del Mibac («la cultura non si lottizza. Ornaghi vergogna»). Ma a parte una visibilissima tensione al momento dell'ingresso in conferenza stampa, e tre ore di ritardo dovute, spiega Melandri, «a un lutto in famiglia», i due, ministro e parlamentare democratica quasi dimissionaria, confermano ogni decisione. Melandri non parte benissimo: «Un primo grande risultato è stato ottenuto, perché intorno al Maxxi si è accesa un'attenzione mediatica straordinaria, questo per me è già un bel risultato». Della serie: purché se ne parli. Ma il ministro la sostiene e la conferma: «Ho assunto questa decisione in autonomia pensando al bene del Maxxi. L'ho presa sulla base del curriculum».
Premessa a parte, la neopresidentessa in divorzio con la politica esordisce con un giuramento da ministro tecnico: «Rispondo alle istituzioni e a una proposta che accolgo in totale e assoluto spirito di servizio». L'esponente del Pd parla come i professori del governo Monti all'epoca della nomina: «Non mi sembrava giusto rendermi indisponibile a una chiamata istituzionale». La scelta del sacrificio. Anche se, a proposito di chiamata del ministro, Melandri con un lapsus la fa risalire a «qualche settimana fa». Cioè «qualche giorno fa», si corregge.
Tra le tante inesattezze altrui, rivendica, «c'è quella che riguarda il compenso». Lo stipendio sarà di «90 euro l'anno: 30 euro per ogni consiglio di amministrazione. Sono al servizio gratuitamente di un processo di rilancio».
Ornaghi, al suo fianco, non fa una piega. Chiarisce che la candidata Melandri aveva tutti i requisiti per la nomina. In aggiunta, poteva vantare «un sovrappiù istituzionale» e «un valore aggiunto»: essere stata ministro e parlamentare. «Non l'ho cooptata, l'ho scelta, senza condizionamenti politici». Da parte del premier Mario Monti non c'è «nessuna perplessità».
L'onorevole democratica che rischiava la rottamazione di Matteo Renzi precisa anche che dimettersi da parlamentare non era obbligatorio per legge: «La legge Frattini del 2002 esclude incompatibilità tra questo tipo di incarichi e l'attività parlamentare. La scelta non è dovuta nemmeno a un clima un po' impazzito in questo Paese (vedi Renzi, ndr). È una scelta di coerenza con la mia coscienza. Io vorrei dedicare tutta la mia energia a questa avventura».
Melandri pensa all'innesto di sponsor privati, italiani e internazionali, ma il governo aiuta subito il lavoro della neo nominata con una grossa mano: l'impegno a investire «sei milioni di euro» per il Maxxi. Una cifra impensabile fino a qualche mese fa: «Solo di recente abbiamo scoperto che c'era questa disponibilità», la risposta del segretario generale Antonia Pasqua Recchia.
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