Tutto - o quasi - come previsto. Con Berlusconi e Alfano che mettono sul tavolo la proposta di una riforma istituzionale sulle orme del modello semipresidenziale francese con doppio turno e in qualche modo lasciano il Pd con il cerino in mano. D’altra parte, l’obiettivo era anche quello di uscire dall’angolo e spostare i riflettori dai problemi interni al partito di via dell’Umiltà sul Pd, cercando anche di rilanciare l’immagine del Pdl. Così, seppure il «no» grazie di Bersani arriva a stretto giro, pare che tra i democratici ci siano sensibilità diverse rispetto al segretario, il più interessato a mantenere lo status quo fino al 2013 e vincere a mani basse le prossime elezioni insieme a Sel e Idv. Anche perché se davvero il Pd non facesse neanche la finta di «andare a vedere» è chiaro che questo diventerebbe uno dei refrain della prossima campagna elettorale del Pdl.
Tutto o quasi, dicevamo. Perché la conferenza stampa congiunta di Berlusconi e Alfano al Senato è pure segnata da un passaggio per così dire «sensibile». Quando i giornalisti chiedono al Cavaliere se potrebbe correre anche lui per il Quirinale nel caso si approvasse davvero il semipresidenzialismo alla francese, Berlusconi si lascia infatti scappare una risposta piuttosto vaga. Avrebbe potuto dire, come mille volte ha fatto in passato, «sapete che al Quirinale vedo bene solo Gianni Letta» e sarebbe finita lì. Invece l’ex premier è decisamente più vago: «Farò quello che mi chiede di fare il Pdl. Sono ancora qui perché eletto da milioni di italiani, ho questo senso di responsabilità». Traduzione: ci penserò al momento opportuno, comunque non lo escludo.
Mica un dettaglio se si guarda a come si è arrivati alla conferenza stampa di ieri, con un Pdl nel caos e la dirigenza di via dell’Umiltà che si è stretta intorno ad Alfano per respingere i rumors che volevano l’ex premier intenzionato a spacchettare il partito e/o tornare in prima linea. In una situazione del genere, insomma, è chiaro che la risposta di Berlusconi è in qualche modo il termometro di un Cavaliere convinto ancora a restare sulla scena per continuare ad avere un ruolo centrale nell’area di centrodestra e nell’eventuale aggregazione dell’ala moderata. Altrimenti non si spiegherebbe la sua presenza insieme ad Alfano per lanciare l’appello sulle riforme a Pd e Terzo polo. Con buona pace di Casini e Montezemolo che pongono il lodo Antigua come condicio sine qua non di una confederazione con il Pdl e pure di quei dirigenti di via dell’Umiltà che nelle ultime settimane hanno insistito con il Cavaliere affinché favorisse il processo con un passo «a lato» e vestendo i panni del «padre nobile».
Tant’è che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sono in molti a manifestare dubbi. Perché non solo Berlusconi lascia intendere di voler restare in pista (peraltro la miccia la innesca il lapsus di Alfano che lo chiama «presidente... della Repubblica»), ma fa anche esplicito riferimento alle liste civiche dicendo di non avere «alcuna preclusione». E le liste civiche sono una parte determinante di quell’ipotesi di spacchettamento del Pdl più volte ventilata e che tanto agita il partito.
Certo, al netto di questo, hanno ragione Quagliariello quando parla di «proposta di grande responsabilità» o Frattini quando dice che la scelta di «riaprire i giochi sulla riforma della Costituzione è una decisione coraggiosa». E che mette in difficoltà il Pd perché, concordavano nel pomeriggio Berlusconi e Alfano, «ora sono loro che devono prendersi la responsabilità di dire “no” e motivarla».
L’unico vero rischio, però, è che se il dialogo non prenderà il via vada a «frenare» la riforma della legge elettorale in discussione in commissione Affari costituzionali al Senato.
Sotto traccia, intanto, continua il caos interno al partito. E anche nella riunione notturna di giovedì a Palazzo Grazioli pare se ne siano dette «d’ogni». Un altro nodo che dovrà essere sciolto a breve.
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