Adesso che tutto è finito, e tutto ciò che resta di tre vite troppo brevi sono i mazzi di fiori portati sui banchi di scuola, ecco la pratica macabra ed inevitabile di andare a frugare sui siti Internet, a saccheggiare i brandelli di vita di Eda e delle sue bambine, scolpiti per sempre nel marmo virtuale di Facebook. Sorrisi, abbracci, ma anche post e sguardi sempre più malinconici, man mano che si avvicina l'ora fatale, quella che trasformerà la piccola casa di Lecco in un mattatoio. Nascosto in mezzo agli altri, morde il cuore il messaggio che Simona, la più grande delle tre figlie di Eda, affidava ad Ask, una delle piazze virtuali più affollate di adolescenti, appena sedici giorni fa: «Mia mamma è la mia migliore amica».
Adesso Simona, Keisy e Sidny sono in un armadio frigorifero dell'istituto di medicina legale, in attesa di una autopsia da cui non servono molte risposte. Gli unici dubbi l'esame dei periti li potrebbe dissipare sugli ultimi attimi di vita di Keisy, la figlia di mezzo, undici anni, per capire se davvero - come il primo, sommario esame dei corpi sembra dire - abbia lottato a lungo con la madre prima di soccombere sotto le coltellate. È un aspetto destinato a contare qualcosa nel processo, perché l'accanimento, la determinazione con cui sembra che Eda abbia ucciso la sua secondogenita fanno sfilare in secondo piano lo scenario di un raptus. Ma poco cambia: la giovane donna albanese ha massacrato le sue figlie cogliendole alla sprovvista, indifese come qualunque figlia davanti alla donna che l'ha partorita. E, una volta passata l'onda dell'emozione che in queste ore sta quasi trasformando l'assassina in una quarta vittima della tragedia, il processo penale dovrà fare i conti con la cruda realtà dei fatti, quella di un atto barbaro e feroce verso tre creature senza colpa. Così si spiega la meticolosità del lavoro che in queste ore i carabinieri di Lecco continuano a fare, dettaglio su dettaglio, impronta per impronta, perché è di prove che si nutre un processo per triplice omicidio aggravato.
Lei, Eda, è ancora in ospedale, sotto sedativi. Le sue condizioni sono un po' peggiorate ieri, per le conseguenze delle coltellate che si è inferte all'intestino, ma se la caverà. E tra qualche giorno dovrà anche affrontare l'interrogatorio del giudice preliminare, dove ben più dettagliatamente che nella breve confessione di domenica mattina dovrà spiegare come, quando, perché abbia deciso di fare pagare alle sue tre bambine il costo di una crisi coniugale in fondo come tante, del un marito tornato in Albania, di fatiche a tirare fine mese che non erano diverse o più gravi di quelle di tante altre famiglie. «Mi fa schifo», dicono ieri di lei le amiche di Simona, nella cerimonia degli addii che prosegue sui siti e sui social network. «Non mi fa pena per nulla. Ha ucciso le figlie, mentre lei è ancora qui, in questo mondo».
Baskim Dobrushi, il marito, è tornato ieri a Lecco, dall'Albania dove era appena arrivato, e dove è stato raggiunto dalla notizia della tragedia. Era stato lui a lasciare Eda, aveva un'altra donna? O al contrario era stata Eda a piantarlo, come dice qualcuno al Chiuso, il quartiere dove abitavano, e dove la bionda signora albanese e le sue tre figlie, una più bella dell'altra, erano diventate una presenza consueta? Baksim, nelle condizioni di prostrazione che si possono immaginare, ha fornito ai carabinieri la sua ricostruzione della crisi coniugale.
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