Il metodo Expo anche in tribunale ma su questi appalti non indagano

I l problema degli appalti Expo? La mancanza di controlli, i lavori per milioni di euro assegnati senza gare d'appalto, grazie ad accordi diretti tra chi paga e chi incassa. Questo, nelle inchieste giudiziarie, viene individuato come il punto debole della catena, il buco nero che rende possibile i favori e le tangenti. Peccato che esattamente lo stesso meccanismo di appalti diretti, e sempre nel nome di Expo, abbia imperato in questi anni anche all'interno del Palazzo di giustizia milanese, dove con i fondi governativi destinati all'esposizione universale sono stati finanziati una serie mastodontica di progetti di ammodernamento tecnologico dell'apparato giudiziario: progetti a volte indispensabili, a volte di rilevanza più oscura, tutti approvati sotto l'egida di Expo per presentare un volto efficiente della giustizia al mondo che arriva a Milano. «I fondi consentiranno a Milano di essere all'avanguardia nella giustizia». Nobile intento, a cui si sono sacrificate anche le procedure. Importo totale dei quattro finanziamenti successivi: 12 milioni e mezzo di euro. A gestire il business, un doppio tavolo giudiziario e politico: da una parte la magistratura milanese, con la sponda del ministero di Giustizia; dall'altra il Comune di Milano, che attraverso l'assessorato ai lavori pubblici smista materialmente gli appalti.
È un tema di cui si mormora da tempo, questo, nei corridoi del palazzo di giustizia milanese. Vederci chiaro non è stato semplicissimo. Alla richiesta di esaminare le carte degli appalti, il presidente della corte d'Appello Giovanni Canzio dichiara irricevibile la richiesta, e invita a rivolgersi al Comune. In Comune, il funzionario che segue gli appalti degli uffici giudiziari, Carmelo Maugeri, passa la palla all'assessore Carmela Rozza. L'assessore finalmente consegna un file, con divieto di estrarre copia, che contiene migliaia di documenti, una matassa quasi inestricabile di determinazioni, delibere, estratti di gara. Ma alla fine qualcosa si riesce a tirare fuori.
A varare il piano sono due delibere. La prima è della giunta di centrodestra guidata da Letizia Moratti, il 3 settembre 2010. Già nel maggio precedente il governo aveva stanziato 3,5 milioni a favore dei lavori nel tribunale di Milano in vista d Expo. Nel luglio, i vertici del tribunale avevano indicato come spendere il malloppo, per un totale di quasi tre milioni. Il 29 luglio 2011, ad appena un mese dal suo insediamento, la giunta Pisapia bissa con la delibera 38 il provvedimento della Moratti, alzando di altri 4 milioni e mezzo di euro il finanziamento. Il tema principale è il «cablaggio strutturato» del tribunale, che viene affidato a Telecom Italia sulla base della convenzione con la Consip, la centrale governativa per gli appalti. Accanto e dopo di questo, viaggiano una serie di appalti minori: stampanti, scanner, eccetera. Robe da poche decine di migliaia di euro.
Il piatto ricco è quello che finisce invece a Finmeccanica. La stessa azienda che è al centro di una lunga serie di inchieste della magistratura per i suoi sistemi disinvolti di conquista degli appalti, diventa partner dei giudici per l'appalto più ricco di questi anni. Il braccio operativo di Finmeccanica è Elsag. Ed è Elsag che nel novembre 2010 si aggiudica la prima fetta, sotto il titolo «evoluzione dei sistemi gestione informatizzata dei registri della cognizione ordinaria delle esecuzioni civili individuali e consorziati». Gara d'appalto? Neanche per sogno. Il ministero della Giustizia infatti il 14 settembre ha scritto che «le nuove prestazioni resesi necessarie devono essere affidate direttamente alla Elsag per ragioni di natura tecnica». Quale sia la ragione tecnica non si dice, ci si limita a spiegare che si tratta di «esecuzione di ulteriori prestazioni alla società che ha originariamente fornito e installato la infrastruttura tecnologica». Si tratta di un appalto del 2002, ben otto anni prima, quando di Expo neanche si parlava. È la tecnica dell'appalto «a seguire» che secondo gli stessi giudici è ammesso solo in casi eccezionali e che qui, invece, evidentemente va bene.
Dalle carte, si scopre che una parte consistente dei soldi va a finire in un pezzo di tribunale ancora non inaugurato: la palazzina di via San Barnaba, alle spalle della struttura principale, destinata a ospitare i giudici del lavoro e la sezione famiglia, ma non solo. Anche se nei comunicati ufficiali non se ne trova traccia, nei sotterranei di via San Barnaba è destinato a trovare posto un supercervellone elettronico con le notizie di reato di tutta Italia, uno dei tre centri di raccolta previsti a livello nazionale per questo materiale ad alto tasso di riservatezza. Il cervellone è oggetto di un appalto secretato gestito direttamente dal Cisia, la struttura per gli appalti del ministero della Giustizia. Ma insieme al cervellone segreto in via San Barnaba vengono progettate anche strutture: il server delle intercettazioni, la sala ascolto, la base informatica degli uffici. E anche qui si va per le spicce. L'appalto per il quadro di bassa tensione finisce, dopo il fallimento della prima azienda, alla Guerrato di Rovigo «per ragioni di sicurezza visto che l'aggiudicataria dispone del know how necessario a garantire la riservatezza». La Guerrato è un colosso che fa appalti anche in Irak, il suo amministratore era stato indagato nel 1993 per tangenti sugli appalti dell'ospedale di Castelmassa insieme a esponenti dell'allora Pds. Con la scusa della riservatezza passa anche il subappalto alla Camera di commercio di Milano della «implementazione dell'Intranet e del nuovo sito».

Mentre totalmente prive di scuse sono l'affidamento diretto alla Net Service di Bologna di due appalti per la cosiddetta «consolle del magistrato» per un valore complessivo di oltre 1,5 milioni di euro, ampiamente sopra l'importo che renderebbe obbligatoria la gara.

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