Migrati torturati in Libia? Non è colpa dell'Italia

La sentenza Cedu da torto a un gruppo di migranti salvati dalla Guardia costiera di Tripoli e reclusi in un centro. "L'Italia non controlla le acque libiche anche se ha formato i militari e fornito loro le navi", dicono i giudici Cedu

Migrati torturati in Libia? Non è colpa dell'Italia
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«L’Italia non può essere ritenuta responsabile per le azioni della Guardia costiera libica». A dirlo non è Matteo Salvini o il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ma i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno respinto il ricorso presentato da 14 sopravvissuti a un naufragio che hanno presentato ricorso. Una loro vittoria avrebbe potuto minare gli accordi internazionali stipulati da diversi paesi dell’Unione Europea con la Libia.

Nel 2017 un’imbarcazione con a bordo 150 persone a bordo è naufragata nel Mediterraneo. Venti non sono sopravvissuti, una parte è stata riportata in Libia dalla Guardia costiera di Tripoli mentre un gruppo di migranti è stato successivamente soccorso dall’organizzazione umanitaria Sea Watch ed è stato condotto in Italia, dove ha sporto denuncia contro il nostro Paese. La Corte di Strasburgo ha dichiarato il caso inammissibile, perché a loro giudizio l’Italia non aveva al tempo «un controllo effettivo» delle acque al largo di Tripoli. Chi è riuscito a uscire sano e salvo dal disastro navale è stato condotto al Centro di detenzione di Tajura a Tripoli, dove sarebbe stato picchiato e maltrattato. Azioni di cui l’Italia per i giudici della Cedu non ha alcuna responsabilità.

Sarebbero stati il capitano e l’equipaggio della nave libica Ras Jadir ad agire in modo indipendente, rispondendo a un segnale di soccorso nelle prime ore del mattino del 6 novembre. L’Italia ha certamente fornito ai libici finanziamenti, imbarcazioni e addestramento nell’ambito di un accordo per rallentare il flusso di migranti che attraversano il Mediterraneo, firmato al tempo dal ministro Pd Marco Minniti. Ma questo non significa che l’Italia «avesse assunto i poteri di autorità pubblica della Libia». Questa sentenza dà torto anche a chi sostiene che il nostro Paese abbia deciso di non consegnare il comandante della milizia libica Almasri alle autorità della Corte penale internazionale.

Come il Giornale ha già scritto, la mancata consegna è frutto di un errore dei magistrati della Corte d’Appello e della Procura generale di Roma, che non hanno convalidato il fermo della Digos di Torino su mandato dell’Interpol per un cavillo.

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