La Milano nera ora spaventa Pisapia

La nuova giunta reagisce alle serie di delitti in strada adottando le misure che prima definiva liberticide

La Milano nera ora spaventa Pisapia

Sono le otto e mezza di una sera qualunque quando in piazza Mercanti, nel centro di Milano che più centro non si può, due carabinieri fermano due tizi che spacciano droga. E il centro di Milano si trasforma in una piccola Scampia: i fermati si ribellano, picchiano i carabinieri, gli amici intervengono in loro difesa. I carabinieri se la vedono brutta. Accorrono le gazzelle. Attoniti, gruppi di turisti assistono alla scena. Passa una manciata di ore: è la mattina di ieri, una giovane parrucchiera esce dal negozio per andare a comprare le sigarette. Le si incollano in tre, mezzi ubriachi, le fanno complimenti pesanti. Anche stavolta tutto accade in centro, dietro corso Buenos Aires. Quando la ragazza si ribella, i tre la accoltellano e se ne vanno.

Basta questo, per dire che Milano non è più una città sicura, ammesso che lo sia mai stata? Per mettere sotto accusa l'approccio della giunta arancione di Giuliano Pisapia al tema cruciale della sicurezza, e per tornare a invocare l'esercito nelle strade, come ai tempi del vicesindaco Riccardo De Corato? Nelle stesse ore in cui volano botte e coltelli tra piazza Duomo e corso Buenos Aires, c'è anche chi viene ammazzato: una povera badante africana, al quartiere Isola, è torturata e soffocata con la plastica da un eroinomane; a un ragioniere irreprensibile sparano in testa in mezzo alla strada, in un quartiere di residenze borghesi. Episodi questi sì agghiaccianti. Ma che impattano di meno sull'umore cittadino di quanto pesino i piccoli reati che possono toccare chiunque. Nessuno, se mena una vita tranquilla e non pesta i piedi a nessuno, teme di essere fulminato con una Smith & Wesson. Ma lo sbandato, l'ubriaco, il tossico e lo scippatore sono il nemico che chiunque può trovarsi davanti.

Così il centrodestra, sfrattato ormai da un anno e mezzo dalla guida del Comune, dice: «L'avevamo detto», e De Corato bombarda cinque volte al giorno di comunicati le redazioni dei giornali. Dall'altra parte un po' si traccheggia, un po' si minimizza, un po' si spiega che neanche cento pattuglie di bersaglieri potrebbero garantire la sicurezza al cento per cento presidiando ogni angolo di strada. In realtà, se si analizza quanto accade, si scopre che la nuova giunta si sta inevitabilmente adeguando a alcune scelte fino all'altro anno considerate liberticide e intollerabili: di rimuovere le cancellate nei parchi non si parla più, e anzi si ipotizza - senza scandalo dei benpensanti - di aggiungerne di nuove, specie intorno alla Stazione Centrale, tornata una prateria di violenze e di soperchierie; aumenta il numero delle telecamere, considerate in precedenza l'abominevole occhio del Grande Fratello, e oggi utilizzate senza scandalo per risolvere delitti grandi e piccoli. Insomma la nuova amministrazione scende a patti con la realtà: ma sottovoce, senza ammetterlo.

Sullo sfondo, quasi inesplorato, resta il tema dei delitti, quelli veri. Che sono pochi, per chi ha vissuto la Milano degli anni ruggenti di Turatello o delle guerre di mafia: ma che comunque aumentano. E danno la sensazione di una città abbruttita nei rapporti d'affari e personali, dove basta poco perché un debito che non si vuole pagare venga liquidato a revolverate.

Se gli assassini vengono presi pistola in mano - come quello che ammazzò il regista tv Mauro Curreri, o l'omicida del consulente del lavoro Ettore Vitiello - il caso si risolve. Altrimenti il giallo resta in sospeso, e scivola lentamente verso lo scaffale dei cold cases. Ma non sembra che alla città importi molto.

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