nostro inviato a Verona
La pantera nera avanza molleggiata sui maxischermi dell'Arena, spalanca le fauci, ruggisce ma non va all'attacco. Adriano Celentano decide di sfoderare gli artigli soltanto a metà concerto, uno spettacolo grandioso che però crolla improvvisamente quando il predicatore di Galbiate decide di smettere di cantare e dedicarsi a istruire le folle.
«Il problema è che non bisogna spendere, non bisogna indebitarsi», spiega Celentano, il milionario che rifugge (a parole) il denaro. Il Molleggiato ha cambiato registro passando dai discussi programmi televisivi al concerto dal vivo. Niente monologhi, poche pause usate per mascherare gli intoppi di quando salta la scaletta. Tutta la prima parte è dedicata alla musica, l'Arena strapiena va in visibilio. Soltanto all'inizio, prima delle canzoni, sono stati letti alcuni testi di due guru celentaniani, Jeremy Rifkin e Serge Latouche. Il tema è uno: la crescita. Meglio, la decrescita.
Parole dure contro la speculazione, la finanza, la «folle corsa al consumo». Accuse ai «valori economici malati» e un osanna al miglioramento della qualità della vita, la bellezza di città e paesaggi, l'accesso all'acqua potabile, la qualità dell'aria. Temi cari a Celentano, che riecheggiano nella sua prima canzone, una scelta obbligata: «Svalutation».
Lo sviluppo e l'economia sono il problema non la soluzione, fa sapere il Molleggiato. L'economia non è la meta ultima ma uno strumento. La corsa al profitto ha provocato una situazione insostenibile, dove bisogna indebitarsi per fare fronte alle nostre esigenze. I lavoratori sono in concorrenza tra loro. Un'apocalisse che soltanto la «decrescita felice» potrà capovolgere.
Celentano però sceglie di puntare subito sulla musica. Un'ora di canzoni, e le urla del pubblico sommergono il Molleggiato quando entra sul palco, abiti grigi, in testa un basco di lana luccicante, alle sue spalle la scenografia di un mondo in rovina, fatta di ruderi, di pietre cupe, di piante sofferenti.
A metà spettacolo il colpo di grazia all'entusiasmo della gente. Arrivano l'economista Jean-Paul Fitoussi e i giornalisti Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, autori di La casta (ma non basta perché Celentano si ricordi il cognome del secondo). Il «re degli ignoranti» si trasforma in intervistatore e Fitoussi improvvisa una lezione di economia della decrescita, accusando l'Europa di non essere più democratica, di aver introdotto disuguaglianza incompatibile con Paesi civili. Una «quasi dittatura», la definisce.
Dopo qualche timido applauso, il pubblico comincia a spazientirsi, volano alcuni fischi e qualche «basta».
Anche Gianni Morandi invita Celentano a tagliare corto il comizio. La scaletta è ormai saltata.
Oggi abbiamo rinunciato a governare, ripete Fitoussi che chiede un governo unico europeo per togliere spazio agli speculatori. «Scusate - dice Celentano - stiamo cercando di mettere a posto una parte del mondo». E l'altro: «Quello che importa è la crescita del benessere, non del profitto, e questo richiede cose che stiamo distruggendo, ambiente, natura, capitale umano con disoccupazione».
Seguono attacchi ai prodotti cinesi, alle società che concedono credito al consumo, a chi si indebita. Il Molleggiato propone: «Potrebbe essere un'idea, azzeriamo il debito senza pagare più nessuno, smettiamo di comprare le cose, abituiamoci a comprare solo quando abbiamo i soldi così non ci indebitiamo più».
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