Roma«Lo dicevo da responsabile Energia del Pci, nominato da Enrico Berlinguer, un sardo tra l'altro, e ho continuato a dirlo dopo quando ero nel consiglio dell'Enea e poi dell'Enel: il carbone del Sulcis non ha speranza, quella miniera va chiusa, non si può continuare a ingannare i lavoratori». Per Gianbattista Zorzoli, ex docente di Impianti nucleari al Politecnico, uomo di sinistra e di vecchia militanza Pci, la vicenda Carbosulcis è un copione già visto, una pièce di teatro dell'assurdo. «Mi sembra di tornare agli anni '80. Già allora c'era il problema della miniera sarda, e per cercare di salvarla si proponevano più o meno le stesse cose di oggi. Abramo Lincoln diceva che si può imbrogliare una persona tutte le volte, o tutti una volta, ma non puoi imbrogliare tutti sempre. Bè in Sardegna si è trovata l'eccezione». L'imbroglio sta in un dato chimico noto a tutti gli esperti: il carbone del Sulcis è di qualità scadente. «Nelle centrali a carbone dei paesi europei la cenere non supera mai il 3%. Invece, il numero medio del contenuto di cenere nel carbone del Sulcis è 23%. Significa due terzi di energia prodotta in meno per tonnellata». A parità di costi di estrazione la resa del carbone sardo è molto minore. «Sono ragionamenti da ragioneria. Ma sono decenni che si continua a girare attorno a questo problema». E poi c'è anche lo zolfo, come Zorzoli ha spiegato su Staffetta quotidiana: «Il carbone normale ha un contenuto di zolfo tra lo 0,5% e il 2%, quello del Sulcis ne ha più del 6%». E questo vuol dire più inquinamento, oltre all'enorme costo sociale per tenerla in piedi (35 milioni di euro ripianati dalla Regione solo nel 2010). Eppure la sinistra ecologista, da Vendola a parti del Pd, difende lo status quo. Come per Alcoa, dove il ministro Passera parla di «situazione quasi impossibile» e «scarsissimo interesse per possibili investitori».
La miniera del Sulcis, creata nell'800, ha sempre avuto problemi. L'epoca in cui si punta sul carbone sardo è quello dell'autarchia fascista, quando viene creata anche Carbonia. Poi tornano i problemi della miniera, e con le privatizzazioni di Enel ed Eni si tenta di liquidarla. «Le società per azioni non vogliono tenersi una venture fallimentare, cercano di liberarsene». E infatti passa in capo alla Regione Sardegna, che da anni è proprietaria delle due società che gestiscono la miniera (Carbosulcis Spa) e i progetti collegati (Sotacarbo Spa). «La Sotacarbo ha fatto diversi bandi, anche nel 2012, di gara per costruire un gassificatore (una delle tecnologie che dovrebbero salvare la miniera, ndr). Vuol sapere quante aziende si sono presentate, con la fame che c'è di commesse in questo momento? Nessuna, zero. Per quel carbone lì bisognerebbe studiare un gassificatore ad hoc, che oltre alle spese di sviluppo avrebbe costi più alti. Ergo, non interessa». E se chiudesse la miniera, che conseguenza ci sarebbero per la sicurezza energetica dell'Italia? «Nessuna, non ce ne accorgeremmo nemmeno. L'Italia importa 17 milioni di tonnelate di carbone da bruciare in centrali termoelettriche, il Suclis ne produce 1 milione, il 5% soltanto. Non se ne produce di più perché da solo non può essere usato, va miscelato con carboni di qualità per rispettare le norme ambientali.
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