La sua carriera era cominciata il giorno in cui era andato in pensione, nel 1990. Anzi, l'anno dopo quando l'amico Enzo Biagi lo chiamò in tv per spiegare I dieci comandamenti. Giovanni Paolo II si affacciava alla modernità, ma non tutto filava liscio. Per alcuni il mondo cattolico, pur immerso nel fonte battesimale del Concilio, era sempre quello del Sillabo e delle sottane lunghe dei preti. Ci voleva lui, Ersilio Tonini, ormai arcivescovo emerito di Ravenna, per provare a coniugare fede e modernità e per portare il Vangelo all'altezza della vita quotidiana di tutti i giorni. Non che la Chiesa non si fosse svecchiata - basta pensare all'esperienza straordinaria dei movimenti - ma la tv, con la sua carica seduttiva, pareva una parete di sesto grado per i predicatori che volevano portare l'uomo alle sorgenti dell'eterno.
Tonini ci riuscì in pieno passando per la cruna dell'ago dell'effimero e diventando una faccia che gli italiani seguivano e in cui si ritrovavano. Aveva un tratto di grande semplicità miscelata con la simpatia del carattere emiliano che aveva ereditato dai genitori: contadini del Piacentino. Ma vantava anche una cultura profonda: ricordo che una mattina, in occasione di un'intervista, mi disse di essere rimasto colpito da un articolo che aveva appena letto, naturalmente in originale, sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, forse il più prestigioso quotidiano di lingua tedesca. Lui riusciva a semplificare, o meglio a ridurre all'essenziale, il messaggio di Nostro Signore. Niente orpelli, niente sovrastrutture, ma la forza dell'amore che entra nel mondo e lo cambia. Con le sue parole, solo apparentemente semplici, sapeva trovare la strada dei cuori e così per molti anni, in una società sempre più laicizzata, fu uno dei pochi cantori del messaggio di Cristo.
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