"Ma quali ricchi? Beneficia il ceto medio. La sinistra pensa solo a migranti e Lgbt"

Il sociologo Luca Ricolfi: "Coinvolto un italiano su 5. I progressisti? I diritti costano meno"

"Ma quali ricchi? Beneficia il ceto medio. La sinistra pensa solo a migranti e Lgbt"

Sociologo, analista e presidente della Fondazione Hume, Luca Ricolfi studia da anni le trasformazioni economiche e culturali dell'Italia.

In questa conversazione riflette sul destino del ceto medio, sul senso delle politiche economiche del governo Meloni e sull'evoluzione dei rapporti fra politica e società.

Professore, esiste ancora un ceto medio?

"Ovviamente sì, ma non esiste una definizione condivisa di ceto medio. La definizione classica è quella di Sylos Labini: lavoratori autonomi + impiegati. Peccato che una parte del lavoro autonomo versi in condizioni assai precarie, e che il confine fra operai e impiegati sia sfocato (l'indagine sulle forze di lavoro ha smesso di fornire la disaggregazione fra operai e impiegati+dirigenti). Per non parlare del problema del lavoro sommerso e dei contratti atipici. Molto all'ingrosso si può valutare che gli impiegati (compresi tecnici e insegnanti, ma esclusi quadri e dirigenti) siano circa 7 milioni, i lavoratori autonomi 5 milioni. Poiché gli occupati totali sono oltre 24 milioni, si può dire che afferisce al ceto medio classico circa un occupato su due. Più o meno come mezzo secolo fa, ai tempi di Sylos Labini".

Stante l'esistenza o l'inesistenza di un ceto che possa essere definito così, questa manovra del governo Meloni sembra orientata a premiare la fascia mediana dei redditi della popolazione italiana.

"Non esattamente. Se come base prendiamo il numero totale di contribuenti, le fasce di reddito prossime alla mediana risultano escluse dai benefici della manovra, che si concentrano invece sulle fasce alte del ceto medio. Gli sgravi fiscali partono dai 28 mila euro e arrivano ai 50 mila, ma quasi il 90% dei contribuenti è sotto la soglia dei 28 mila euro. I beneficiari sono indubbiamente ceto medio (non certo "i ricchi"), ma il segmento prescelto corrisponde a circa il 20% dei contribuenti (a spanne: non più di un membro del ceto medio su 2)".

La vittoria del nuovo sindaco di New York pone nuove domande all'Occidente? È in corso una ribellione da parte dei cittadini che, dovendo muoversi attraverso i mezzi pubblici e dovendosi curare con la sanità pubblica, chiedono più assistenzialismo?

"Non credo siano questi i fattori decisivi, la realtà è più semplice: nelle grandi città ci sono più laureati e diplomati, e i ceti istruiti preferiscono la sinistra. Quasi ovunque, oggi come ieri. A questo dato di fondo, poi, si aggiunge la circostanza che il nuovo sindaco di New York ha abbandonato il linguaggio astratto e fumoso di tanta parte dell'establishment progressista. È molto diverso promettere più inclusione o promettere trasporti gratis e canoni d'affitto bloccati".

In Italia vige l'annoso dibattito sui contributi da chiedere alla banche...

"Come riformista e liberale dovrei essere contrario, ma invece in questo caso sono abbastanza favorevole: se si vuole redistribuire, non è irragionevole partire di lì, specie dopo anni floridi. Molto meglio che una patrimoniale sulle persone fisiche".

Si parla spesso di "tecnodestra" o di "tecnofeudalesimo" in salsa trumpiana. Eppure le cosiddette "masse impoverite" non sembrano rifiutare del tutto (anzi) i modelli politici conservatori o sovranisti. Perché?

"La domanda andrebbe capovolta: perché mai le masse impoverite dovrebbero preferire la sinistra, che si preoccupa di immigrati e minoranze sessuali? Quanto a Trump e ai sovranisti, credo che il loro appeal abbia due matrici principali. Primo, il fatto di aver messo nel mirino la globalizzazione, che molti elettori percepiscono come causa delle loro difficoltà economiche. Secondo, la mancanza di proposte concrete e praticabili da parte dei leader progressisti".

Lei una volta ha detto che "la sinistra non parla più alla classe media perché costa troppo". Cosa voleva intendere?

"È semplice. Favorire l'accoglienza e proteggere le minoranze sessuali costa pochi miliardi. Ridurre le tasse al ceto medio in modo percepibile costa uno sproposito. Se ne è accorto il governo, che ha varato sgravi onerosi per la finanza pubblica (3 miliardi) ma quasi impercettibili per i destinatari (circa 30 euro al mese)".

C'è un tema generazionale (che lei ha spesso posto). Cosa accadrà al ceto medio quando le nuove generazioni arriveranno a contatto con il lavoro. Le cosiddette nuove professioni, secondo l'allarme di Confcommercio, mettono in crisi il sistema pensionistico. E questo perché il reddito medio è di 18mila euro.

"I millenial (nati fra il 1980 e il 1996) hanno da 30 e 45 anni, e quindi sono già sul mercato del lavoro da tempo (almeno quelli che non hanno scelto di farsi mantenere dai genitori o vivere di rendita). Le vere novità verranno dalla generazione zeta e dalla generazione alpha, che è quella immediatamente successiva (nati negli ultimi 15 anni). Il problema, però, a me non sembra il fatto che guadagnino poco, ma che i migliori di loro decidano di emigrare in paesi con salari reali più elevati. Quanto al sistema pensionistico, non credo che il suo collasso sarà provocato dai bassi redditi delle nuove generazioni.

Il problema delle pensioni in Italia è che poggiano quasi esclusivamente sul primo pilastro (quello pubblico), così sottraendo risorse preziose ad altri impieghi, come gli asili nido e la sanità. Lo sappiamo perfettamente fin dal 1997, quando il rapporto Onofri mise e nudo le due criticità della spesa pubblica italiana: interessi sul debito e pensioni".

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