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Morto Enzo Carra. Il suo arresto con le manette fu il simbolo di Tangentopoli

Giornalista e politico, aveva 80 anni. "L’ingiusta esibizione in manette di cui fu vittima, rappresenta tutto quello che non deve essere la giustizia", ricorda il senatore e professore di diritto costituzionale Andrea Manzella

Morto Enzo Carra. Il suo arresto con le manette fu il simbolo di Tangentopoli

Il mondo della politica piange la scomparsa di Enzo Carra (80 anni), giornalista, politico, storico segretario di Arnaldo Forlani e capo ufficio stampa della Dc. La sua prestigiosa carriera subì un tracollo quando nel 1993 venne arrestato nel clamore della maxi-tangente Enimont. Le foto con le manette ai polsi (al tempo si parlò della questione Carra-schiavettoni) divennero il simbolo di una stagione in cui la magistratura attuò anche una lotta politica senza esclusione di colpi, oltrepassando il confine della separazione dei poteri. L’indignazione per il trattamento riservatogli fu trasversale ma in pochi ebbero il coraggio di schierarsi contro un sistema che in quel frangente sembrava invincibile e inarrestabile. Lui stesso in una intervista a Il Riformista disse: “Ero innocente ma vollero ammanettarmi come simbolo della politica vinta dal pool di Mani Pulite”.

La politica e i partiti della Prima Repubblica stavano per essere spazzati via da una corrente mediatico-giudiziaria fortissima. La crisi del sistema-Italia era forse da avvertire all'indomani del 1989 con la caduta del muro di Berlino, ma anche nelle frasi dei presidenti della Repubblica Pertini e Cossiga che in più occasioni pubbliche misero il parlamento in guardia da una degenerazione morale della politica. Il Corriere della Sera del 20 febbraio 1993 titolò "In cella l’uomo di Forlani". E dalla procura di Milano fecero trapelare: "Non ci ha voluto dire dove finivano le tangenti Enimont".

Il senatore e professore di diritto costituzionale Andrea Manzella così ricordara la scomparsa di Carra: “L’ingiusta esibizione in manette di cui fu vittima, rappresenta tutto quello che non deve essere la giustizia. Ho fatto con lui un viaggio a Cuba e ricordo con commozione che si prodigò per la visita delle mogli dei detenuti politici e incoraggiava i pochi dissidenti di quel regime. Era contrario ad ogni forma di totalitarismo e aveva una grande cultura".

La sua militanza nella Democrazia Cristiana gli ha permesso di seguire e conoscere figure di primo piano della Prima Repubblica, da Forlani – di cui come detto fu strettissimo collaboratore – a Moro, Andreotti e De Mita. Nonché di venire a conoscenza di molte strategie, retroscena e segreti che sono rimasti per molti anni chiusi nel palazzo o nelle segreterie di partito. Proprio il "suo" Forlani nel ’92 era uno dei candidati al Quirinale ma fu affondato dai franchi tiratori. Forse andreottiani? A sfidarlo c’era proprio l’ “amico” Giulio - così si chiamavano i dirigenti della Dc – con il quale negli anni ’80 aveva dato origine al CAF (Craxi-Andreotti-Forlani), un patto di governo e di potere tra socialisti e democristiani.

Riguardo a quel delicato passaggio Paolo Cirino Pomicino racconta al Giornale.it: "Mi telefonò da Palazzo Chigi Nino Cristofori: 'Forlani è andato via in questo momento dallo studio del presidente e ha confermato che il candidato è Giulio, vieni subito perché dobbiamo organizzarci per lavorare'. Arrivato nello studio di Andreotti, mentre stavamo discutendo, sul mio telefonino arriva la telefonata di chi? Di Enzo Scotti - come al solito! - che mi dice: 'I dorotei, noi, l’area forlaniana abbiamo deciso che Forlani è il candidato'. Giulio che era presente a questa telefonata, chiama Forlani per cercare di sciogliere questo nodo, e in mia presenza, Arnaldo, contrariamente a quello che aveva detto prima afferma: 'Eh... io ho trovato qui un casino nel partito, una ribellione… De Mita, i miei amici e tanti altri stanno creando una serie di problemi…'. Alla seconda chiama – dopo una riunione fatta dai numeri due delle correnti presso lo studio di Gerardo Bianco - decidemmo di procedere con Forlani".

Alla fine, dopo una serie di vicende anche extra-partitiche, Forlani non ce la fece e secondo Carra ci fu il tentativo di Andreotti di rientrare in corsa, come gli aveva riferito un ex importante esponente socialista. Ma furono davvero gli uomini di Andreotti i franchi tiratori? Pomicino risponde in modo netto: "Noi fummo franchi tiratori alla prima. Sì. Ma lì c’era anche un gruppo di un altro politico democristiano della Campania che non lo dirà mai!". Mario Segni, che della Dc fu figura di spicco nonché "figlio d’arte", ricorda la vicinanza di Carra a Forlani, l’amarezza "di quell’episodio tristissimo del suo arresto", "l’intelligenza, la gentilezza e le qualità umane".

Si unisce al dolore anche un altro storico esponente democristiano come Beppe Pisanu: "In questo momento mi colpisce la notizia. Non mi viene da dire nulla se non di pregare per lui. Lo conoscevo e lo stimavo". L’ex sindaco di Roma, Franco Carraro, designato sulla poltrona più alta del Campidoglio grazie ad una alleanza tra Forlani e Craxi, sottolinea ancora una volta come la vita di Carra sia stata completamente segnata da una scena orribile come quella dei pm di esibirlo al pubblico in manette: "Fu un episodio che mi indignò moltissimo. Io penso che le manette siano utili se c’è il pericolo di fuga".

Dopo la fine della Dc Carra contribuì alla fondazione della Margherita e poi del Pd. Oggi sono Andrea Orlando e Dario Franceschini a tracciarne un personale ricordo: "Scompare una persona intelligente, sensibile, un profondo conoscitore dei meccanismi della democrazia che ha sempre ispirato la sua condotta. Segnato e colpito dagli eccessi di una stagione, quella giudiziaria, dalla quale seppe uscirne a testa alta e riscattandosi con umiltà e disponibilità"; "Un uomo buono, colto, intelligente. Un pezzo di storia della Democrazia Cristiana e un testimone di cosa deve essere la politica. Per me e per molti di noi un amico vero che ci mancherà".

Raggiunto dalla notizia mentre era ad una conferenza, anche il senatore di Forza Italia e vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, ha voluto lasciare un suo personale messaggio di cordoglio: "Enzo Carra, giornalista e politico va ricordato per la solidità delle posizioni espresse e per la cultura che ha sempre caratterizzato il suo impegno sia nel campo dell’informazione sia nel parlamento e non soltanto perché è stato il simbolo di una stagione in cui l’uso politico della giustizia lo ha visto tra le vittime di una gogna mediatica. Nonostante sia sempre stato molto ostile al centro-destra, questo non condiziona assolutamente il mio ricordo e la commozione di fronte alla sua scomparsa".

Per Giancarlo Mazzuca, già direttore del Giorno e del Resto del Carlino, nonché parlamentare, "se ne va un collega. Eravamo infatti nella Commissione parlamentare dei servizi televisivi. Politicamente su fronti contrapposti, ma ugualmente molto amici, anche perché erano molte le cose che avevamo in comune. Ci capivamo al volo. La sua scomparsa mi rattrista".

In un dibattito pubblico del 2003, a Roma, Carra fece "pace" con Antonio Di Pietro dicendo che non fu l’ex pm di Mani Pulite a volergli imporre le manette. E in una delle ultime interviste rilasciate, alla domanda del giornalista Aldo Torchiaro (Il Riformista) se avesse perdonato coloro che ordinarono il suo arresto, rispose in modo netto: "Non ho né il potere del perdono, né la voglia di vendetta. Ciascuno di loro, del pool, ha dovuto rivedere le sue posizioni. Io no, non ho mai avuto niente di cui pentirmi. I bilanci, sa, si fanno alla fine". E ora, forse, è tempo di bilanci.

Per tutti.

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