E vabbé, Di Pietro come al solito attacca, dice che il Pd ha lo stesso programma del Pdl, che dovrebbero allearsi tra di loro. Pazienza pure per Roberto Zaccaria, che si è dimesso da vicepresidente della commissione Affari costituzionali della Camera perché il partito «non ha sostenuto» la sua candidatura all’Agcom. Ma quando è Roberto Saviano a chiamarsi fuori, arrivano i dolori. «Non esiste una mia lista, io non appoggerò nessuno», dice lo scrittore, facendo così mancare il marchio di fabbrica, il nome trainante, l’appeal, al raggruppamento civico che il mondo di Repubblica sta covando.
Magari Pier Luigi Bersani è contento lo stesso: via Saviano, esce di scena un personaggio ingombrante, un possibile candidato premier, e sfuma l’Opa radical-chic sul Pd. Gli altri rivali però sono ancora in campo. Per cercare di stanarli e, possibilmente, di neutralizzarli, oggi in direzione il segretario annuncerà le primarie, non di partito ma di coalizione, aperte cioé a tutto il centrosinistra. Il duello con il rottamatore di Firenze Matteo Renzi sarà annacquato in una competizione allargata ai vari Vendola, Di Pietro e i rampanti come Pippo Civati e Debora Serracchiani. Emiliano diserterà la direzione. Renzi parteciperà ma senza parlare. Lo ha già fatto: «Bene le primarie, ma io le faccio sono se sono vere»,
Ecco dunque lo «spariglio» del segretario, la pre-apertura della campagna elettorale. Una decisione che Bersani ha preso «da solo», provocando diversi malumori tra i big. Veltroni si è lamentano perché lasciato all’oscuro. D’Alema ha smentito di essere contrario alle primarie ma vuole tenere aperta la porta per un’intesa con l’Udc. Letta, Franceschini, Bindi, Finocchiaro, in un vertice con il segretario, lo hanno avvertito che le primarie di partito presuppongono un congresso straordinario.
Bersani ha cercato di tranquillizzare tutti: gli equilibri del 2009 non saranno messi in discussione, i pesi interni non verranno toccati, però fermare Renzi con un veto burocratico, con il vento che tira, sarebbe una scelta suicida. Via libera quindi a consultazioni allargate, anche se, allo stato, mancano due condizioni essenziali come il programma e la coalizione.
Ma il leader del Pd è convinto che l’immobilismo non paga più, che è arrivato il momento di «metterci la faccia». E non è solo, tre anni dopo la sua elezione, la ricerca di una nuova legittimazione e la voglia di prendere in contropiede Renzi, a spingerlo verso le primarie. Ma è, dicono i suoi, «l’aria che tira in Italia», il successo di Grillo e dell’astensionismo a muoverlo verso la necessità di «aprire il partito» a forze nuove. Anche l’idea di un cambio generazionale, con il limite dei tre mandati parlamentari, è un antidoto contro i tentativi di Opa ostili, di «scalate» al Pd.
Da qui l’idea di rimescolare le carte e di lanciare «un appello ai moderati e ai riformisti, alle forze migliori del Paese». Alla direzione Bersani chiederà un «mandato forte» su quella che viene considerata la vera priorità politica, al di là dell’emergenza economica e delle misure del governo per la crescita. E cioè, la riforma della legge elettorale. Ai delegati il segretario domanderà un mandato pieno per trattare con il Pdl e vedere se sarà possibile cambiare il Porcellum in tre settimane.
Molti all’interno i dubbi e i mugugni. Alcuni hanno paura di dover cedere posti e potere agli emergenti. Altri temono che l’accelerata abbia ripercussioni sulla tenuta del governo. Altri ancora ritengono che le primarie di coalizione cristallizzino la foto di Vasto e taglino i canali con Casini. Durante la riunione, qualcuno ha chiesto a Bersani di invertire l’ordine del giorno. Prima di lanciare le primarie bisogna coinvolgere la società civile, tastare il posto a Repubblica, soprattutto dopo il passo indietro di Saviano.
Esperimenti che Massimo D’Alema vede malissimo. «Quando si è tentato di delegittimare i partiti, è perché i poteri forti volevano manovrare liberamente». E il ricorso alle liste civiche «è un drammatico impoverimento della democrazia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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