LE MOSSE DEL CENTRODESTRA

Il regolamento di conti non è finito nell’urna. Ora i panni della Lega si sciacquano anche in pubblico, dalle colonne del Giornale. Roberto Calderoli contro Roberto Castelli, che già aveva il problema di metabolizzare una sconfitta, disastrosa nelle proporzioni, nella corsa a sindaco di Lecco, la sua città natale. Castelli si era trovato come avversario il presidente uscente della Provincia Virginio Brivio e aveva messo in conto un duello all’ultimo voto, con tanto di ballottaggio sul filo del rasoio. Invece, Castelli è uscito malamente al primo turno, come certi sciatori blasonati che scendono in pista alle Olimpiadi fra grandi attese ed escono alla terza porta. Una figuraccia.
Nemmeno il tempo di assorbire il colpo e ieri il viceministro alle Infrastrutture apre il Giornale e scopre l’intervista di Calderoli, il ministro per la Semplificazione che ha appena bruciato in un festoso falò centinaia di leggi. Calderoli passa sotto la lente d’ingrandimento le sconfitte di due candidati eccellenti, Brunetta a Venezia e Castelli a Lecco, e li infilza con poche parole: «L’amarezza rimane, è naturale. A nessuno piace perdere nella propria città. Ma sia su di lui (Brunetta, ndr) che su Roberto Castelli a Lecco ha influito il mantenimento del doppio incarico». Brunetta è titolare del dicastero per la Pubblica amministrazione, Castelli è il vice di Altero Matteoli.
È davvero così? O forse Castelli ha pagato a caro prezzo la gestione impossibile del pollaio lecchese, dove i capponi di Renzo, in perenne disaccordo fra di loro, sono sei o sette come le fazioni e sottofazioni del Pdl e della Lega? L’ex Guardasigilli, punto sul vivo, risponde per le rime: «In merito alla mia candidatura a sindaco di Lecco, ricordo che di correre, pur mantenendo l’incarico da viceministro, ho avuto ordine dalla Lega Nord. E io, come un soldato, ho obbedito».
In effetti, chi ricorda il parto della candidatura Castelli sa, che a differenza di Brunetta, il colonnello della Lega avrebbe fatto volentieri a meno della missione in riva al Lago. Castelli aveva accettato titubante solo perché a Umberto Bossi nessuno, dalle parti di via Bellerio, si azzarda a rispondere con un no. E infatti il viceministro, dopo una brevissima riflessione, si era rassegnato a infilare le mani fra i rovi e le spine. E aveva cercato di ricomporre i cocci della maggioranza, impresa titanica visto che la precedente amministrazione, guidata dalla leghista Antonella Faggi, aveva ammainato la bandiera dopo tre anni e mezzo di imboscate, veti, risse. Costringendo i lecchesi ad un valzer straordinario nei seggi.
Castelli si era catapultato a Lecco, ma il tentativo di ricreare l’unità si è infranto in quel labirinto in cui formigoniani, brambilliani, berlusconiani, ex aennini, leghisti vanno ognuno per proprio conto. Castelli non ha trovato la sintesi che invece hanno raggiunto, a modo loro, i cittadini: per il Pirellone hanno votato il centrodestra, ma poi hanno consegnato le chiavi del municipio a Brivio, che ha superato la soglia fatidica del 50 per cento. E ora può cantare vittoria e proporre addirittura Lecco come laboratorio di una nuova sinistra capace di ritrovare il filo del dialogo con la gente e non più rintanata nei salotti. «Mi stupisce - è la conclusione amara di Castelli - che ora Calderoli rinneghi ciò che la Lega stessa mi ha ordinato di fare».
Calderoli, che evidentemente vuole sfrondare non solo la foresta normativa ma anche i comportamenti della nomenklatura, la pensa in un altro modo: per lui la cabina ha punito chi voleva tenere un piede a Roma e l’altro in provincia. Insomma, gli elettori avrebbero denunciato in questo modo l’arroganza di un ceto politico che, piegando la legge come pongo, ha aggirato il divieto dei doppi incarichi e ha trovato il modo di sdoppiarsi fra le poltrone romane e quelle in periferia. Milena Gabanelli ha documentato sui Rai 3 lo slalom di sottosegretari e parlamentari che fanno i pendolari fra Roma e il resto del Paese. Col risultato, secondo il programma Report, di trascurare fatalmente i problemi concreti che invece aspettano risposte urgenti.

Castelli aveva provato a dare un’altra lettura spiegando che a Roma, al Ministero, avrebbe lavorato per trovare soluzione ai gravi ritardi infrastrutturali della Lombardia e dunque anche di Lecco. È andata male. E ora, fra scintille e code velenose, va di male in peggio.

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