«Grillo premier? No ... però... perché no?». Leonardo Del Vecchio, 77 anni, patron di Luxottica e, soprattutto, esponente di rilievo del capitalismo italiano che conta (i «salotti buoni») ha rotto con il filo-montismo dell'establishment e ha aperto a un governo «targato» 5 Stelle. «Non credo che sia più stupido di quelli che abbiamo avuto fino adesso - ha aggiunto Del Vecchio - e a me poi ragionare sulle idee non dispiace». Insomma, un importante imprenditore, nonché influente azionista di Generali e Unicredit, non vede minacce alla democrazia e al mercato nel portavoce della rete. «La situazione non la vedo male perché ho molta fiducia nei giovani: si ringiovanisce un po' chi ci comanda e sono tranquillo», ha proseguito. La Borsa non è crollata (ieri ha messo a segno un piccolo recupero).
Si tratta di frasi pesanti pronunciate poco prima che l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, rimarcasse come «l'instabilità politica potrebbe danneggiare» il Lingotto. E, soprattutto, poco prima che i top manager italiani, dietro lo scudo dell'anonimato, confessassero le loro paure al Financial Times. Il timore è che «le riforme di cui l'Italia ha bisogno si spengano nello stallo a Roma, o peggio, siano silurate dal partito anti-sistema di Grillo». Non è un mistero che i grandi capitani d'azienda tifassero per un Monti-bis o per un più prosaico Bersani-Monti-Vendola. Ecco perché i protagonisti della finanza hanno imprecato contro «il fallimento dei politici». D'altronde lo stesso capo di Intesa Sanpaolo, Enrico Tomaso Cucchiani, aveva detto: «Non vedo vincitori ma solo perdenti».
Una circostanza che rende ancor più «pesanti» le parole del numero uno della multinazionale degli occhiali (sono «made in Luxottica» non solo i RayBan ma anche le creazioni di Armani e Prada, giusto per fare un esempio). Che invece giudica meno positivamente un «inciucio» Grillo-Bersani. «Ma che cambino! Se continuano a nominare gli stessi, allora è lavoro per niente. Io aspiro al cambiamento», ha concluso.
Ma Del Vecchio non è un «giacobino» della finanza come si potrebbe definire un Diego Della Valle, sempre pronto a denunciare la «gerontocrazia» dei poteri forti. È molto più «discreto» e quando parla, come è accaduto a Trieste, lo fa solo per evidenziare ciò che ritiene un malfunzionamento. Ed è per questo che riscuote la fiducia dei numeri uno (Mediobanca in primis). Allora perché la sortita «grillina» di Del Vecchio? Ci sono molteplici piani che si compenetrano e che rendono più complessa la spiegazione. C'è quello antropologico: Del Vecchio è un martinitt, un orfano del noto collegio milanese che si è fatto da solo e nel Bellunese ha creato una multinazionale da 7 miliardi di fatturato e 540 milioni di utile netto. E anche Grillo ha creato da solo quello che oggi è il primo partito italiano. E poi il comico è stato - dopo Berlusconi - l'unico politico che è andato a parlare alla pancia degli imprenditori del Nord-Est e questo sicuramente Del Vecchio non l'ha sottovalutato, abituato com'è ad andare controcorrente.
Generalmente questi endorsement costano consensi in termini di vendite. Ma per Mister Luxottica non è un problema. Il gruppo realizza oltre la metà dei propri ricavi fuori dall'Europa dove l'Italia ha un peso importante ma non preminente. E fuori dal nostro Paese, in Lussemburgo, c'è anche il cuore pulsante dell'impero di Del Vecchio, la Delfin, che racchiude le partecipazioni in Luxottica, Generali e Unicredit.
Insomma, l'imprenditore ad appoggiare Grillo rischia poco perché la sua azienda - a differenza di Fiat - non dipende dal mercato italiano (anche per questo le case d'affari la inseriscono sempre tra i «consigli per gli acquisti»). E poi Grillo inforca sempre i RayBan e di questi tempi dove si trova pubblicità così a buon mercato?
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