Roma Una donna di 37 anni è morta per arresto cardiaco in ospedale, il Martini di Torino, dopo aver preso la RU486, la pillola abortiva. Non è ancora possibile stabilire se possa davvero trattarsi della prima vittima in Italia e della numero 28 nel mondo della RU486. O se invece non ci sia alcun nesso causa effetto tra l'assunzione del farmaco e il decesso della giovane, già madre di un bimbo, che aveva deciso di non avere un secondo figlio, scegliendo l'interruzione volontaria di gravidanza per via farmacologica. È certo, invece, che la tragica morte della donna riapre una feroce polemica mai sopita sull'uso della pillola abortiva, su quale sia il «protocollo» da applicare in caso di somministrazione, con ricovero o in day hospital, e se non sia in ogni caso più sicuro l'aborto chirurgico. La Procura di Torino ha già aperto un'inchiesta, disponendo che l'autopsia venga eseguita lunedì. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, non commenta in attesa degli esiti dell'autopsia ed ha fatto sapere di aver avviato tutte le verifiche del caso. Anche l'ospedale ha avviato un'inchiesta interna ma ha fatto sapere che il protocollo previsto in questi casi è stato seguito meticolosamente e che sono state messe in atto tutte le procedure mediche possibili per salvare la vita della donna.
Ricoverata lunedì 7 aprile la donna ha assunto il mifepristone (sostanza che interrompe la gestazione) ed ha poi scelto di non restare in ospedale. Mercoledì è tornata nella struttura per la somministrazione della prostaglandina (la sostanza che provoca le contrazioni uterine e, dunque, l'espulsione del feto). Tutto procedeva normalmente, almeno secondo quanto riferito dal primario del reparto di ostetricia e ginecologia del Martini, Flavio Carnino. Ma qualche ora dopo l'espulsione del feto la donna ha cominciato a sentirsi male ed è andata ripetutamente in arresto cardiaco. È stata trasportata in rianimazione ma alle 22,45 è morta. Per il ginecologo Silvio Viale, il primo a battersi per l'autorizzazione della RU486 da parte dell'Agenzia Nazionale del farmaco (Aifa) si tratta di un tragica fatalità che non avrebbe nulla a che vedere con l'assunzione della pillola. «Sono decine di milioni le donne che hanno preso la Ru486 nel mondo e più di 40mila in Italia - sottolinea Viale - Il mifepristone non può dare complicazioni cardiache». I casi di morte segnalati come collegati alla Ru486 sarebbero 27 nel mondo e quasi tutti causati da infezione causati da batteri molto potenti. Nessuno per arresto cardiaco.
Dal centrodestra si levano voci di condanna nella convinzione che la RU486 rappresenti un rischio maggiore per la salute della donna e anche dal punto di vista etico.
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