Bersani è dentro da mezz'oretta quando si accendono le luci e i corazzieri battono i tacchi. Tutti aspettano di vedere l'incaricato e il segretario generale Marra. Invece, sorpresona, dalle porte della Vetrata ecco spuntare Giorgio Napolitano, che va al microfono e legge un lungo discorso fitto di precedenti e di citazioni costituzionali. Dieci pagine, quasi un contratto di un notaio, ma è quello che gli serve per spiegare la sua scelta, legare mani e piedi al segretario del Pd e metterlo nelle mani del Cav. Dunque, tocca a Pier Luigi Bersani, che non solo dovrà sbrigarsi a trovare i voti mancanti, ma dovrà cercarli nel centrodestra, nel quadro di «larghe intese». Se ce la farà, bene, altrimenti sotto un altro.
Più che un incarico, una trappola. Una griglia elettrificata. Il leader del centrosinistra, spiega Napolitano, deve «verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo, tale da consentire la formazione di un governo che abbia la fiducia delle due Camere». Niente maggioranza, niente Palazzo Chigi. E i numeri non possono essere cercati dopo, in aula, ma subito, e portati sul Colle. «Egli mi riferirà sull'esito delle verifica compiuta appena possibile». Il mandato è talmente condizionato, talmente ingabbiato da sembrare «a perdere».
Non si era mai visto un capo dello Stato mettere su una simile scenografia e parlare prima del presidente del Consiglio in pectore scavando, anche visivamente, il solco entro il quale muoversi. Non si era mai sentito un presidente rafforzare la riserva indicando persino il bacino dove andare a pescare. La domanda ora è questa: avrà la voglia e la forza Bersani di dare un calcio alla sua campagna elettorale e post-elettorale e rivolgersi al Cavaliere? E il partito accetterà l'ordine di corteggiare Pdl e Lega per stringere un accordo che contempli anche il prossimo presidente della Repubblica? Giorgio II è più vicino.
Del resto le parole del capo dello Stato sono chiarissime. La crisi incombe e «l'Italia deve darsi un governo operante nella pienezza dei suoi poteri» perché «la stabilità istituzionale non è meno importante di quella finanziaria per l'affidabilità del Paese». Quindi niente voto che peraltro, racconta Napolitano, quasi nessuno vuole: la legislatura deve «essere feconda», le riforme sono necessarie. Grande merito a Cinque Stelle, che interpreta «la vastità del malessere sociale e le istanze di cambiamento», però la strada maestra è la grande coalizione.
Certo, sembra impossibile mettere insieme Pd e Pdl. «Le difficoltà a procedere in questo senso sono state rilevanti per effetto di antiche divergenze». Ma se per un anno hanno governato insieme con Monti e «realizzato importanti convergenze», possono farlo ancora. «Io insisto - dice ancora il presidente - sulla necessità di larghe intese a complemento del processo di formazione del governo che potrebbe concludersi anche entro ambiti più caratterizzati e ristretti». Napolitano suggerisce geometrie variabili: accordi ampi per le riforme, stretti per il governo. «Intanto si parta».
Quanto a Bersani, «cerchi la soluzione attraverso tutti gli opportuni contatti con le altre forze politiche».
di Massimiliano Scafi
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